di Rosa Villada
Estrella non sapeva cosa stesse facendo lì. Attorno a lei erano tutti addormentati, ma non riusciva a conciliare il sonno. E non a causa dei pellegrini che russavano nei letti accanto. Non riusciva a dormire perché durante tutta l’estenuante giornata appena conclusa, una domanda aveva fatto eco più e più volte nella sua testa: Che cosa ci fai qui?
Anche se era già da tre settimane che camminava lungo il Camino de Santiago, ancora non conosceva il motivo che la aveva spinta ad intraprendere questo percorso millenario, e qualcosa dentro di lei esigeva una risposta a questa domanda. Frugando nel suo sacco, ricapitolò i motivi che l’avevano indotta ad intraprendere il pellegrinaggio.
Non aveva mai pensato di percorrere il Camino de Santiago, ma negli ultimi mesi, tutto aveva cominciato a parlarle del Cammino delle stelle. Quando guardava la televisione un servizio le ricordava che quell’anno si sarebbe celebrato l’Anno Santo Compostellano, o veniva trasmesso un reportage sulle migliaia di pellegrini che da tutto il mondo arrivavano a Compostela. Quando viaggiava in automobile, enormi cartelloni ricordavano l’antico percorso. Nelle librerie, numerose guide del Camino sembravano chiamarla dagli espositori. Per non parlare delle conchiglie che vedeva ovunque, e della necessità che provava ogni notte di elevare gli occhi al cielo stellato, per ammirare il percorso celeste della Via Lattea, che si estende all’infinito. Cominciò a sentire dentro di sé il Cammino di Santiago che la chiamava e, a poco a poco, la possibilità di intraprendere questo antico percorso stava prendendo corpo nella sua mente. Inizialmente, come un’idea remota. Poi, come una certezza assoluta.
– Va bene – disse un giorno a se stessa – non so perché, ma devo fare il Cammino di Santiago.
Il russare potente di un pellegrino tedesco rimbombava sulle pareti dell’albergue per i pellegrini. Alcuni compagni di stanza si muovevano nelle loro brande, e le molle dei letti cigolavano stridule, in una sorta di accompagnamento musicale al suono gutturale dei russatori. Estrella non riusciva a dormire, e continuava a ripensare alle ragioni che l’avevano spinta a percorrere il Cammino di Santiago. Si ricordò del giorno in cui, sorpresa dalla sua ferma determinazione, e senza esitazione, fissò la data di inizio del suo pellegrinaggio, e diede inizio ai preparativi del viaggio. Non fu facile trovare qualcuno che potesse sostituirla sul lavoro, e nemmeno poter disporre di un mese per camminare da Roncisvalle a Santiago.
I suoi amici le avevano detto che non era necessario fare il Cammino per intero, e che avrebbe potuto scegliere un percorso più breve: gli ultimi 100 chilometri, come fanno molte persone per ottenere la Compostela, o lasciare il Cammino a metà per continuarlo in un altro momento. Ma Estrella non contemplava questa possibilità e a tutti rispondeva: – Se lo faccio, lo voglio fare tutto. Voglio fare i quasi 800 chilometri che separano Roncisvalle da Santiago. Per percorsi diversi non mi ci metto…
Nella sua vita non aveva mai fatto nulla di simile. Il suo lavoro e la sua famiglia la assorbivano completamente, e lasciare la sua casa e la sua attività per molti giorni lavorativi, al di fuori del periodo delle vacanze estive, era molto complicato. Quanto al lavoro, pensò: – Nessuno è indispensabile, siamo noi che ci riteniamo tali. Che questa volta se la cavino da soli…
Un mese prima della data prescelta per iniziare il viaggio, Estrella cominciò a camminare un’ora al giorno a piedi attraverso la città, per allenarsi e per domare le scarpe che aveva comprato. Si sarebbe accorta dopo, sul Cammino, che il suo allenamento – sempre sul piano – era evidentemente insufficiente per potersi cimentare con la durezza di alcuni tratti della ruta jacopea.
Oltre ad allenarsi fisicamente, Estrella comprò lo zaino, il sacco a pelo e una guida del Cammino che offriva informazioni dettagliate sulle varie tappe. Cominciò a leggere anche tutto ciò che le capitava tra le mani sul pellegrinaggio a Santiago, suscitando così la sua ansia di mettersi quanto prima in cammino.
Conobbe un giovane pellegrino, che lo aveva percorso varie volte. E ora, sdraiata sul letto in alto, Estrella ricordava le parole che le aveva detto: – Il Cammino non si fa con le gambe, ma con la testa. Se pensi di poterlo terminare, ci riuscirai. E poi – aggiunse – sono sicuro che arriverai a Santiago perché hai una faccia da hippie . Ricordando questa frase, Estrella sorrise. A 45 anni di età non era certa se avere una faccia da hippie fosse un complimento o una preoccupante sentenza.
L’insonnia continuava. Estrella prese una piccola torcia dalla tasca interna del sacco a pelo, e guardò l’orologio che portava al polso sinistro. Erano le due e venti di mattina. Il tempo continuava a scorrere e lei non solo non riusciva a dormire, ma si sentiva sempre più riposata.
Si fece luce con la torcia elettrica, e cercando di fare il meno rumore possibile, aprì la cerniera del suo sacco rosso e nero, e scendendo dalle scalette del letto a castello, scese a terra. Sentì il freddo sui suoi piedi nudi e in punta di piedi lasciò la stanza, schivando scarpe e zaini, per arrivare ai servizi e poi, con la stessa attenzione, tornò a letto.
Quando si accomodò di nuovo nel sacco a pelo, si ricordò della brutta notte trascorsa in un altro albergue, al termine del sesto giorno di cammino. Demoralizzata, con febbre e forti dolori in tutto il corpo, non aveva abbastanza forza per scendere dalle scale – le toccava sempre la parte superiore del letto a castello – e per raggiungere il servizio.
Nemmeno quella notte riuscì a dormire, e quando si mise in cammino il giorno dopo, stava per gettare la spugna e tornare a casa.
Tuttavia, man mano che camminava, il dolore e la febbre passarono e il suo spirito, che pure aveva conosciuto giorni migliori, si uniformò al ritmo dei passi e gradualmente abbandonò la terre ombrose per tornare a quelle più luminose.
Fu in quel giorno che Estrella scoprì che il Cammino è un po’ come la vita. Che ci sono momenti buoni e cattivi, felici e tristi, gioiosi e dolorosi, e che ognuno di questi momenti è lo sprone per continuare a camminare e per non permettere a nulla e a nessuno di paralizzarci.
Ricordando adesso questi momenti, così vicini e così lontani al tempo stesso – perché nel Cammino il tempo vissuto ha una dimensione diversa da quella che percepiamo nella nostra esistenza quotidiana – Estrella si rese conto che fu dopo quella prima settimana che si sentiva più aperta e recettiva a tutto ciò che il Cammino le diceva.
E da allora – adesso davvero lo percepiva – furono molte le occasioni nelle quali comprese il parallelismo tra la vita e il Cammino. Capì il senso che aveva lo zaino nel pellegrinaggio, che all’inizio le dilaniava la schiena e le cui cinghie le scavavano le spalle, a causa del suo peso eccessivo.
Per alleggerire questo peso Estrella ha dovuto abbandonare negli albergues cose che aveva portato perché non si sa mai, e che in realtà erano inutili. E quella notte, rannicchiata nel suo sacco, era consapevole del fatto che anche nella vita di ogni giorno è fondamentale alleggerire il proprio bagaglio: pensieri, persone, circostanze e aspetti del nostro passato che impediscono di proseguire lungo il proprio cammino. Ha imparato che bisogna portare con sé solo il necessario e prescindere dalle cose superflue.
Il Cammino le aveva anche insegnato, attraverso il contatto quotidiano con la natura, che viviamo in un mondo di opposti: giorno e notte, freddo e caldo, luce e buio, e che questi ritmi e questi cicli naturali esistono anche dentro di noi, e sono parte integrante della nostra essenza di esseri umani.
Ma la lezione più importante che le aveva insegnato il pellegrinaggio era l’accettazione. Estrella si era resa conto che camminando a piedi lungo la ruta jacopea il pellegrino accetta, con totale stoicismo, tutto quello che la giornata gli riserva, e si conforma a qualsiasi circostanza senza protestare.
Pensò che lì, sul Cammino, si era più predisposti che nella vita di tutti i giorni, ad accettare le cose che non si possono cambiare. – Se piove, ti bagni e non ti arrabbi con la pioggia – disse dentro di sé – e se c’è il sole sopporti il calore. Se quando arrivi all’albergue trovi l’acqua calda ti fa la doccia con questa, altrimenti la fai con quella fredda. Se non ci sono più letti, dormi sul pavimento. Non tenti di cambiare ciò che non ha rimedio e non crei problemi fittizi.
Con improvvisa lucidità, Estrella, accompagnata dal suono monotono del russare di alcuni pellegrini, cominciò a rendersi conto, dopo tre settimane di cammino, che non era lei che percorreva il Cammino di Santiago, ma che era il Cammino che si era impossessato di lei e che passava attraverso di lei, cominciando a svelarle i suoi segreti.
Con questa intima soddisfazione acquisita nella sua mente, si rilassò e cadde finalmente in un sonno profondo.
Le parole sussurrate dagli altri pellegrini e il rumore delle cerniere e delle borse di plastica la risvegliarono. I primi raggi di sole cominciarono a insinuarsi attraverso le finestre dell’albergue, e fecero sì che Estrella balzasse dal letto in fretta. Una delle cose che le piacevano di più del Cammino era camminare all’alba, osservare il sole sorgere alle sue spalle, ascoltare il canto degli uccelli, e respirare l’aria fresca del mattino.
Mentre preparava lo zaino si rese conto che quel giorno si era svegliata di buon umore. Le poche ore che avevo dormito quella notte le avevano regalato un riposo profondo. Ma soprattutto, ciò che rallegrava il suo animo, erano le conclusioni alle quali era giunta all’alba.
Così, quando lasciò l’albergue e cominciò a camminare, il cuore le batteva a pieno ritmo in petto, mentre nella sua testa risuonava un pensiero di speranza: Forse oggi il Cammino mi dirà che cosa sto facendo qui.
Buen Camino! ci si diceva l’un l’altro quando ci si incontrava nel corso della giornata. Dopo diverse ore di cammino, Estrella stava ancora pensando alle ragioni del pellegrinaggio, e desiderò con tutto il cuore che tutti i pellegrini potessero trovare ciò che erano andati a cercare sul Cammino di Santiago. Tuttavia, un’ombra di dubbio cominciò ad offuscare la sua anima.
– E io, lo troverò? disse ad alta voce.
Continuò a camminare, e si diede immediatamente una risposta.
– Come faccio a trovare, se non so nemmeno che cosa sto cercando?
Il percorso previsto per quel giorno non presentava particolari difficoltà. Dopo tre settimane, i suoi piedi si erano abituati a percorrere molti chilometri e le sue spalle si erano curvate in modo flessibile per accogliere lo zaino, come se facesse già parte della sua anatomia. Eppure, gli otto chilometri di salita a ‘O Cebreiro, le stavano risultando più difficili di quanto potesse immaginare.
La sua intenzione era quella di passare per questo luogo importante, posto alle porte della Galizia, e di proseguire fino all’albergue successivo. Ma quando arrivò in cima, qualcosa richiamò la sua attenzione. In una sorta di pannello, si parlava di un miracolo avvenuto intorno al 1300, quando un pastore, nel mezzo di una tempesta di neve, si recò lì per assistere alla S. Messa. Il prete si prese burla dello sforzo del pastore, e in quel momento l’Ostia consacrata si mutò in carne e sangue, e lì rimane conservato il calice del miracolo.
Estrella aveva già letto di questo miracolo nella guida che portava con sé, però qualcosa dentro di lei la costrinse a fermarsi. Senza sapere bene dove stesse andando, ma con grande determinazione, raggiunse una piccola chiesa. Le porte erano chiuse, ma sbirciò con curiosità attraverso una fessura che vi era nel legno.
La chiesa era buia, ma la luce del sole filtrava attraverso le finestre situate sulla parete dietro l’altare, in cui si trovava l’immagine di Cristo crocifisso. La magia di quei raggi di luce che formavano un triangolo e che si concentravano nel centro della chiesa, impressionarono l’animo di Estrella.
Fu in quel preciso momento che seppe che cosa stesse cercando sul Cammino di Santiago e che cosa avrebbe chiesto all’Apostolo quando si sarebbe prostrata davanti a lui nel Portico de la Gloria: l’Illuminazione, la Luce interiore che desse luce al suo cammino, così come illuminava il buio di quella chiesa.
Con una grande emozione, Estrella udì una voce nella sua testa che le diceva: – E le porte si apriranno? – Nello stesso istante una donna, che era alle sue spalle, le chiese:
– Volete entrare?
– Sì, vorrei tanto – rispose – ma la porta è chiusa.
– Ho la chiave, disse la donna sorridendo.
Aperta la porta, Estrella entrò e si avvicinò all’immagine di Cristo, mentre la luce inondava il suo volto ricoperto dalle lacrime. Alla sua destra vide il calice del miracolo e una bella scultura lignea romanica che raffigurava la Madonna col Bambino.
Non seppe mai quanto tempo rimase lì da sola, perché tutto quello che aveva vissuto in quei momenti apparteneva ad una dimensione diversa. Lasciando la cappella di Santa Maria la Real, non era più la stessa persona.
Con lo zaino sulle spalle, riprese il Cammino di Santiago. Ora sapeva cosa stava facendo lì, e aveva appena scoperto anche che il suo nome era un presagio perché lei era una delle tante stelle che compongono la ruta magica e millenaria. Finalmente aveva trovato il suo Cammino.