di Maurizio Minchella
Ai tuoi occhi, mille anni
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.
Li annienti: li sommergi nel sonno;
sono come l’erba che germoglia al mattino:
al mattino fiorisce, germoglia,
alla sera è falciata e dissecca.
(Salmo 90)
Uno dei monasteri più importanti di Spagna si trova in Aragona, poco a Nord di Yesa e del suo embalse. Prima benedettino e poi cistercense, il monastero di san Salvador di Leyre è stato anche struttura ospitaliera da cui dipendeva la collegiata di Roncisvalle fino al XII secolo. Ha svolto un ruolo importante anche nella Reconquista e ha visto passare innumerevoli pellegrini provenienti dal passo di Somport diretti a Santiago. Molti pellegrini lo conoscono, in quanto tra Ruesca e Sanguesa, sull’attuale tracciato, vi è una deviazione che porta al monastero. Tra le mille storie che le sue mura raccontano ve ne è una molto amata, ed in particolare dal mondo jacopeo.
E’ la storia di san Virila, catalano di Tiermas, dove nacque nell’870. Divenne abate di Leyre, e come attestato da diversi documenti, partecipò attivamente alla vita ecclesiale della regione. Vissuto in odore di santità, il santo è ricordato soprattutto per il miracolo del quale è stato protagonista.
L’abate, ormai anziano, era solito compiere una passeggiata mattutina lungo la Sierra de Errando per sostare presso una fonte appena fuori del monastero, meditando i misteri divini. L’ottantenne monaco, in prossimità del transito della sua vita terrena, era tormentato da un cruccio che angustiava la sua anima. Convinto conoscitore di tutte le verità di fede, non riusciva solo a comprendere come in Paradiso alla lunga non ci si annoiasse, e come questo antico vizio si potesse conciliare con la felicità e la pienezza di vita promessa a tutti coloro che hanno combattuto vittoriosamente la buona battaglia terrena. E così pregava continuamente Dio di fargli comprendere in che modo lo stato di eterna beatitudine si potesse conciliare con l’assuefazione a tanta bellezza, fino ad inaridire. Mentre era assorto in tali pensieri la sua mente si mise in ascolto del magnifico canto di un usignolo che volava tra i rami degli alberi del bosco, rendendo ancora più bello ed estatico il luogo in cui si trovava, seguendo il volatile dentro al bosco fino a fermarsi alla fonte. Come vinto da tanta bellezza, l’abate si addormentò profondamente.
Risvegliatosi, riprese la via del ritorno. Ma qualcosa intorno era cambiato, ed anche il sentiero sembrava differente dal solito: l’erba era cresciuta a dismisura, gli alberi erano molto più alti, e dovette faticare non poco a riconoscere la consueta traccia. Raggiunse in qualche modo il monastero, anch’esso differente da come lo aveva lasciato all’inizio della sua passeggiata. Sembrava adesso più grande, il colore della facciata ed anche il tetto non erano più gli stessi. Non si perdette d’animo e bussò alla porta. Ma quale sorpresa, quando questa si apre, nel vedere un monaco con l’abito bianco, a lui sconosciuto. Anche il monaco guardiano si stupì nel vedere un anziano monaco benedettino, provato ed affamato, giungere al convento, e gli chiese da quanto tempo fosse in cammino.
– Mi chiamo Virila, e sono l’abate di questo monastero. E non vi conosco.
– Come dite, venerabile vegliardo? – rispose il monaco sgranando gli occhi.
– Sono l’abate di questo monastero, che riconosco nonostante i cambiamenti. Non vi conosco e non capisco nulla di quanto sta accadendo.
– Perdonatemi, buon uomo, ma siete in errore. Questo monastero ha un abate e vi assicuro che non siete voi.
– Siete voi in errore, caro giovane. Il mio nome è Virila e, come vi ho detto, sono l’abate del monastero. Questa mattina, dopo il mattutino, sono andato come di consueto a fare una passeggiata e mi sono addormentato dopo aver ascoltato un usignolo che cantava in modo a me sconosciuto, nei pressi della fonte. Adesso torno, e trovo tutto cambiato…
Il guardiano gli chiese cortesemente di attendere in portineria, e corse in cerca dell’abate e del priore.
– Abate! Priore! – grida frettolosamente mentre si fa il segno della croce. – All’ingresso c’è un uomo avanti con gli anni che dice di essere l’abate del monastero, di chiamarsi Virila, e che questa mattina dopo il mattutino è andato a fare una passeggiata nel bosco, e che si è addormentato ad una fonte dopo aver ascoltato il canto meraviglioso di un usignolo. E dice di non conoscermi…
– Calmatevi, fratello! – ordina l’abate al monaco sconvolto.
– Conducetemi alla presenza di quest’ospite inatteso, e voi fratello priore, andate in biblioteca e consultate gli archivi per vedere se trovate qualcosa che possa far luce su questa faccenda. Il nome non mi è del tutto sconosciuto, ma non può essere, ma se lo fosse…
Così, mentre l’abate e altri monaci vanno dal misterioso vegliardo, il priore consulta gli archivi della biblioteca, e nello scorrere la lista degli abati si imbatte nel nome di Virila, del quale si legge che fosse scomparso senza lasciare alcuna traccia trecento anni prima. Allora uscì di corsa gridando per tutta l’abbazia:
– Miracolo! Dio sia benedetto! Andiamo tutti in chiesa! Miracolo, miracolo, miracolo!
Tutta la comunità abbandona le proprie occupazioni e si riunisce nell’abbazia alla presenza del misterioso vegliardo appena giunto. Il priore parla velocemente con l’abate e questi, guardando Virila con un misto di timore reverenziale, rispetto e ammirazione, prende la parola:
– Fratelli, sia lodato e benedetto il nostro Dio per averci permesso di essere testimoni di un evento miracoloso. Gli archivi del monastero riportano la misteriosa sparizione dell’abate Virila in una mattina di primavera, molto simile a quella di oggi. Furono organizzate squadre di ricerca per tutta la sierra, ma l’abate non si ritrovò. Era come se la terra lo avesse inghiottito…! Trecento anni fa! – I mormorii che salirono immediatamente da parte di tutti gli astanti, costrinsero l’abate ad alzare la mano per chiedere silenzio e poter continuare.
– Quest’uomo qui presente – dice indicando il benedettino – ha bussato alla nostra porta affermando di essere l’abate del monastero e di averlo trovato molto cambiato, pur avendolo riconosciuto. Quest’uomo afferma di essere uscito questa mattina, dopo il mattutino, a fare una passeggiata e che dopo aver ascoltato il canto di un usignolo si è addentrato nel bosco fino a raggiungere una fonte, presso la quale si è addormentato fino al risveglio. Quest’uomo, fratelli, risponde al nome di Virila.
Dopo aver ascoltato le parole dell’abate si alzarono tutti in piedi a ringraziare Dio con grande gioia, e uno di loro intonò un canto al quale si unirono tutti. In quel preciso istante entrò in chiesa un usignolo che portava nel becco un anello abaziale che pose con gran cura al dito di Virila, testimoniando che quanto aveva asserito il vecchio e venerabile monaco corrispondeva al vero. Tutta la comunità rimase meravigliata e a bocca aperta. Ed ecco che si udì una voce che diceva: Hai visto, figlio. Per trecento anni hai ascoltato il canto di un usignolo e ti sono sembrati un breve istante. E’ infinitamente meglio vedere Dio faccia a faccia che godere del canto di un uccellino. Come la voce terminò di parlare Virila rese grazia per il favore divino che gli fu concesso, chiuse gli occhi e partì da questo mondo per godere della vita eterna nella luce gloriosa e inaccessibile dell’Autore dei nostri giorni.
Di questo miracolo ovviamente in tutto il Medievo e nei racconti dei pellegrini si sono avute varie versioni, con differenze tra di loro di poco conto, tutte concordanti però nella struttura portante del racconto. La vicenda è molto simile a quella dei sette dormienti di Efeso, narrato da Jacopo da Varazze alla luce di quanto riportato da Gregorio di Tours e da Paolo Diacono. Nel 250, sotto il mandato dell’imperatore Decio sette giovani furono condannati da un tribunale a causa della loro fede, essendosi rifiutati di adorare gli idoli pagani. Rilasciati momentaneamente, si nascosero in una grotta sul monte Celion, dal quale usciva soltanto Malco, per mendicare cibo. Scoperti, vennero murati vivi. In attesa della morte i sette giovani si addormentarono nella grotta. Duecento anni dopo, degli operai che intendevano costruire un ovile, aprirono la grotta e li svegliarono. Malco tornò ad Efeso, e con stupore constatò che il Cristianesimo era diventata la religione dell’Impero. I sette giovani morirono lo stesso giorno del loro risveglio, dando anch’essi testimonianza della resurrezione dei corpi.