San Nicola Pellegrino (2 giugno)

 

     di Maurizio Minchella

Le vite dei santi, ed in particolare quelle riccamente costellate da episodi che appaiono umanamente inverosimili, presuppongono una lettura prettamente didascalica, che può essere tradotta in tecnica pittorica e narrativa, come avveniva largamente nel Medioevo (Giotto, Cimabue, Jacopo da Varazze, solo per citarne alcuni). Le agiografie differiscono dalle biografie in quanto  aggiungono alla lettura sub specie temporis quella sub specie aeternitatis, svelando la natura divina che si manifesta in forma visibile nella vita dei santi, e diventano in tal modo dei veri e propri trattati di teologia, nei quali le verità della fede sono immediatamente percepibili, pur se la narrazione è difforme rispetto alla lettura naturale del reale, proprio perché segno della presenza trascendente che trasfigura la forma umana e storica del santo che viene ritratto.

Contrassegnate quasi sempre da un’incessante via Crucis personale innestata in quella di Cristo, le vite dei santi trasfondono, pur nel dolore più indicibile, gioia piena e ricchezza spirituale al massimo grado, che muovono in egual misura all’ammirazione che porta alla venerazione o al rigetto totale che induce al disprezzo e alla persecuzione. In questo senso, oltre che testimonianze dell’amore di Cristo e per Cristo, le vite dei santi sono affreschi di catechesi permanenti e dal significato profetico, in quanto rappresentano tutte delle pietre miliari nella storia della salvezza, e ne fanno scorgere il percorso, inintelligibile alla mente umana se non in rari momenti, illuminati dalla Grazia.

Se la misura della santità è la distanza dal mondo, la follia, ossia il rifiuto concreto delle sue leggi e delle sue seduzioni, ne è la manifestazione visibile a significare alterità e scissura insanabile tra vita sacra e vita profana, in piena sintonia con quanto insegna san Paolo: Noi siamo gli Stolti per la causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi siamo deboli, ma voi forti; voi siete onorati, noi reietti. Fino a questo momento soffriamo la fame. la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo con le nostre mani. Insultati benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino a oggi (Corinzi, 4, 10-13). La denominazione di boskoi, data nei primi secoli a coloro che si appartavano dal mondo per https://citydesert.files.wordpress.com/2014/01/symeon-the-fool-2.jpg?resize=274%2C630trovare rifugio nelle selve montane o nei deserti, indicava coloro che vagavano seminudi, cibandosi in modo frugale, dediti totalmente all’orazione, salmodiata o silenziosa che fosse. I saloi erano coloro che sperimentavano le primizie del cielo vivendo ancora sulla terra, refrattari ad ogni tentazione di peccato, in contemplazione della morte e resurrezione del Cristo e delle verità della fede che si svelavano pienamente nei loro cuori. Santi di questa tempra erano ben noti nei premi secoli, con la proliferazione dei romiti nel Vicino Oriente, dall’Egitto alla Siria, denominati in seguito i padri del deserto, fino alle steppe orientali nella cui spiritualità campeggia la figura del Pellegrino russo e della sua Filocalia; gli jurodivyj (i folli di Cristo) sono ben presenti in quella cultura tanto da essere sovente protagonisti nella letteratura ottocentesca e non solo, ed in particolare nei romanzi di Dostoevskij. Nella cultura occidentale gli esempi sono più rari, ma continuano ad essere riferimenti portanti della tradizione cattolica romana, a cominciare da san Francesco d’Assisi e dal suo discepolo fra Ginepro, e nel secolo scorso dal santo pellegrino dell’era moderna, Joseph-Benoit Labre.

Un folle di Cristo a metà strada tra mondo orientale e mondo occidentale fu il greco san Nicola Pellegrino, nato nel 1075 a Stiri, nella Focide, a poca distanza da Delfi, da una famiglia poverissima. La sua vita non fu molto dissimile da quella del suo conterraneo san Luca il Giovane, morto a Stiri nel 946, in un eremo nel quale visse quasi totalmente la sua esistenza, e diventato successivamente un monastero tra i più importanti della regione. Rimasto giovanissimo orfano di padre, Nicola si dedica al suo piccolo gregge per sostentare la sua famiglia. Nel silenzio dei monti, ancora in tenerissima età fa esperienza di Dio e viene misticamente istruito e formato alle verità della fede. E’ qui che apprende a salmodiare il Kirye Eleison, che sarà l’emblema della sua santità, ed anche la causa del suo esilio dal consesso umano da parte del popolo e dello stesso clero.

toro-s-nicola703.jpgL’invocazione penitenziale che usciva dalla sua bocca era forte e potente, ma aveva soprattutto la capacità di schiudere le porte dell’anima di chi ascoltava il canto, inducendola al pianto e alla contrizione per i peccati commessi. Ma era tanto forte e straziante il grido del giovinetto che persino la sua santa madre, ritenutolo pazzo, lo indusse ad abbandonare la propria casa. Rifugiatosi in un monte vicino, brandendo una Croce ordinò ad un orso di abbandonare la grotta nella quale aveva trovato rifugio, per farne la propria dimora. Nicola aveva allora dodici anni e in quello stesso anno i Baresi riuscirono a sottrarre ai Musulmani, che stavano conquistando rapidamente tutta l’attuale Turchia, le reliquie di san Nicola, custodite a Mira. L’attuale patrono di Bari era già venerato nella metropoli pugliese, conquistata da poco dai Normanni, capitanati da Roberto il Guiscardo.

 

Furono quelli anni particolarmente duri per la Cristianità, seriamente minacciata per la prima volta dall’Islam, e minata al contempo dallo scisma orientale, che ebbe inizio nel 1054, quando Leone IX inviò i suoi legati a Costantinopoli nel tentativo di dirimere con il patriarca Michele Cerulario le controversie giuridiche e teologiche che avevano incrinato i rapporti tra la Chiesa d’Occidente e quella d’Oriente, e che si concluse con la scomunica reciproca dei primati delle due Chiese.

Colta da timore per la sorte del suo giovane figlio, la madre affida Nicola al Monastero di san Luca di Stiro. Il canto del Kirye non piacque ai monaci, che lo fecero bastonare e richiudere nella torre dalla quale venne miracolosamente liberato. Cacciato più volte in malo modo dal Monastero, annunziò ogni volta il suo ritorno con il canto del Kirye. Spazientiti, i monaci lo gettarono in mare. Venne salvato, come Giona, da un pesce – in questo caso un delfino – ed ebbe anche modo di salvare i religiosi che lo volevano annegare, travolti da un’improvvisa  tempesta che si era abbattuta su di loro: il suo Kirye placò le acque.

San Luca il Giovane"Eremita" - DOLFILANDSalito sul monte Oraco insieme al fratello Giorgio, alternava la preghiera alla lavorazione delle Croci che piantava in quel territorio. Un giorno un angelo del Signore gli fece vedere in visione Trani, la città che accoglierà le sue spoglie dopo l’esilio definitivo dalla sua terra. Il suo Kirye era inviso in particolare ai monaci, i quali mal sopportavano il pressante invito alla contrizione, e da questi veniva crudelmente bastonato e percorso, ma a consolare il giovane ci pensava san Luca il Giovane, il quale gli appariva manifestandogli  il favore di Gesù nei suoi confronti. Tentato invano anche da una fanciulla che si era invaghita di lui, tornò al monastero di Stiro in occasione della festa dei santi Cosma e Damiano. Rifiutatagli dai monaci la comunione, Nicola decise di andare in pellegrinaggio a Roma, a chiedere perdono per i propri peccati. Di anime candide e innocenti come la sua in quell’epoca probabilmente ce n’erano davvero poche, ma le continue e dolorose prove che dovette affrontare lo convinsero di non essere gradito a Dio per via dei suoi peccati.

Si imbarca a Lepanto, luogo della storica battaglia che il 7 ottobre 1571 vide le truppe cristiane soccorse dalla Madonna del Rosario vincere miracolosamente le ingenti flotte arabe che minacciavano la Cristianità. Nicola sperimentò un anticipo di questo evento storico di là da venire. Salpato insieme al monaco Bartolomeo, che conoscerà in quel porto, e col quale condividerà i suoi restanti giorni, sulla nave lanciò ripetutamente il suo consueto Kirye, infastidendo i marinai, che lo spinsero in mare. Ma ad Otranto arrivò molto prima della nave, accompagnato da una Bella Signora, come racconterà a Bartolomeo. Ebbe anche il tempo di disincagliare una nave ferma nel porto, grazie al prodigioso Kirye che intonò insieme agli increduli marinai. 

Battaglia di Lepanto - Wikipedia

I primi ad accogliere Nicola nei villaggi che attraversava erano i bambini. Affascinati dal suo Kirye si facevano dolcemente istruire sulle verità della fede e ad uno di essi consegnava una delle sue croci grazie alle quali il fanciullo prescelto operava i miracoli che il santo, una volta partito, non poteva più propiziare. La permanenza ad Otranto durò diversi giorni, con grande giovamento per la cittadinanza tutta. La fortezza mostrata dagli 800 martiri otrantini il 28 luglio 1480 nel corso dell’assalto della flotta saracena, forse non sarebbe stata tale se il giovane greco non avesse confermato la città costiera nella fede, attraverso i suoi insegnamenti e i suoi miracoli.

Il pellegrinaggio verso le tombe apostoliche di Roma continuò allo sresso modo in terra pugliese, attraversando Sogliana, Galatina, Nardò, Racale, Olimpio, Vernole e Lecce. L’arrivo del santo era sempre accompagnato da stuoli di bambini che si specchiavano nella purezza evangelica del pellegrino Nicola e che insieme a lui intonavano il Kirye. I miracoli si moltiplicavano, così come non mancarono le frustrate intimate dal clero che a questo genere di santità non aveva alcuna intenzione di conformarsi. Il vescovo di Lecce, Teodoro, lo prese di mira e lo fece frustare e incarcerare a più riprese, ma un angelo venne a liberarlo ogni volta, e il santo si ripresentava facendo risuonare nella cattedrale salentina il suo inconfondibile Kirye. Uscendo dalla città passava come sempre il suo carisma ad un bambino, consegnandogli la Croce, con la quale i miracoli di guarigione e di conversione continuavano a riversarsi sulla popolazione.

L’ultima tappa del pellegrinaggio del giovane Nicola fu quella che lo vide giungere a Trani. Accolto come un figlio dall’Arcivescovo Bisanzio e dalla popolazione tutta, conquistata dalla sua santità che si manifestò non solo con i miracoli, ma anche con la professione di umiltà e di tutte le virtù che perfettamente consistevano nella sua persona. La sosta nella città costiera durò pochi giorni. Una malattia, o forse i postumi delle percosse subite, fu fatale al giovane pellegrino greco, e la sua agonia venne accompagnata con grande partecipazione da tutta la popolazione. Anche sul nudo giaciglio sul quale volle compiere il suo transito al cielo non mancarono le guarigioni e i miracoli. Il 2 giugno 1094 tutta la città andò a rendere omaggio al pellegrino defunto, ritenuto santo da tutti fin dal suo arrivo a Trani. L’umile casa dove spirò divenne la chiesa di santa Maria Assunta, oggi cattedrale, un gioiello del romanico pugliese, nella quale sono venerate ancora oggi le reliquie di san Nicola Pellegrino.

Nicola Pellegrino - WikipediaQuando il santo morì era Pontefice Urbano II, il papa che a Clermont l’anno successivo avrebbe invitato la Chiesa e i principi cristiani al pellegrinaggio armato ai luoghi Santi di Terrasanta. I Saraceni erano già stati avvistati sulle coste joniche e il dominio dei Selgiuchidi in quell’epoca aveva acceso il conflitto religioso e culturale tra Oriente e Occidente, sgretolando definitivamente l’unità garantita dal Sacro Romano Impero, in via di sfaldamento per via della nascita di nuove entità statali e comunali ad Occidente, e dello scisma d’Oriente, che colpì al cuore la Cristianità.

San Nicola Pellegrino precorse attivamente questi processi storici, indicando in qualche modo anche il senso della storia sacra che si stava ridisegnando in quegli anni.  Da greco scelse Roma e non Costantinopoli, riconoscendo nel Pontefice il successore di Pietro. Lungo la strada che aveva percorso verso Roma sarebbero transitati di lì a poco in senso opposto i primi Crociati, che intendevano liberare i luoghi santi di Gerusalemme e della Palestina, occupati e profanati dai musulmani, in un conflitto secolare che ha avuto come epilogo, diventato poi un simbolo, quella Lepanto dalla quale salpò verso Roma, trovando anch’egli il soccorso provvidenziale della Madre di Dio.

Affacciate su quel mare si elevano le cattedrali di Bari e di Trani dedicate ai due santi Nicola venuti da Oriente e nelle quali i loro corpi sono stati custoditi nella stessa epoca. Sembrano pronti a sfidare insieme e ancora una volta, da forti baluardi della Chiesa, le nuove tempeste che attendono alla prova il mondo intero, con lo sguardo rivolto alle loro terre, intenso come quello di due fari sempre accesi, pronti a dare soccorso a chi vuole salvarsi dal naufragio che incombe, minaccioso come sempre, nella storia.

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