di Maurizio Minchella
A tutti i pellegrini è molto cara la chiesetta posta alla sommità del Monte del Gozo, il monte della Gioia o Mons Gaudii, detto anche collina di san Marco, dal quale si rendono visibili agli occhi dei pellegrini le torri della cattedrale compostelana. Per quasi un millennio andare a videre Jacobum voleva dire partire dalla porta della propria abitazione, alla quale si sarebbe fatto ritorno – e non sempre – dopo lunghi mesi, se non anni. La gioia dei nostri antenati nel salire il Monte del Gozo è inimmaginabile, anche ai nostri occhi di pellegrini moderni. Era costume, agli albori del pellegrinaggio jacopeo, salire di corsa lungo le pendici della collina e colui che vi arrivava per primo veniva designato il re della comitiva. Tale usanza era largamente diffusa che i pellegrini francesi, i più numerosi ad affrontare il pellegrinaggio jacopeo dopo la scoperta della tomba dell’Apostolo, tanto da dare il loro nome al cammino che dai Pirenei porta a Santiago, hanno conservato questo motto nella loro onomastica, e il cognome Le Roy, è ancora oggi uno tra i più diffusi nel paese d’Oltralpe.
Sono numerosissime le testimonianze della commozione degli antichi pellegrini giunti sul Monte del Gozo; una di queste è quella di Domenico Laffi, che così descrive ne Il Viaggio in Ponente a San Giacomo di Galitia e Finis Terrae, per Francia e Spagna (1673) questo momento di grande intensità: Abbiamo raggiunto la cima di una collina chiamata Monte do Gozo, dalla quale abbiamo contemplato la tanto desiderata città di Santiago, distante mezzo miglio. Quando la vedemmo, cademmo in ginocchio e cominciammo a piangere di gioia e a cantare il Te Deum. Ma non riuscivamo a recitare più di due o tre versi perché la grande quantità di lacrime versate dai nostri occhi non ci permetteva di parlare. L’emozione che ha profondamente scosso i nostri cuori, e i continui singhiozzi, ci hanno costretti a smettere di cantare, fino a quando, esaurito il pianto, che a poco a poco si asciugava, siamo tornati a cantare il Te Deum e così, cantando, siamo scesi verso la città, che è bella e grande, e sempre in costruzione; finito il borgo, siamo giunti alla porta (della cattedrale).
La storia ci dice che il vescovo Diego Gelmiréz fece costruire una cappella nel 1105, dedicata alla santa Croce, per dar modo ai pellegrini di inginocchiarsi in segno di ringraziamento per essere giunti alla vista della città santa, e di potersi confessare per entrarvi con l’anima liberata dal peso dei peccati, alla quale si ascendeva in processione il giorno di san Marco. Abbandonata e in rovina fin dal XVII secolo, la cappella è stata restaurata nel secolo scorso. Intorno ad essa i pellegrini sostavano durante la notte in una veglia di preghiera prima di riprendere il breve cammino alle prime luci dell’alba verso la cattedrale compostelana.
Una leggenda ci ricorda il toponimo del luogo e la successiva dedicazione della chiesa, ma soprattutto restituisce il senso profondo del pellegrinaggio in via di conclusione, e di conseguenza della vita, della quale il viaggio intrapreso è solo una sublime metafora.
Si racconta che san Marco stesse compiendo il pellegrinaggio alla tomba dell’apostolo Giacomo quando venne raggiunto da un pellegrino che portava, legate al suo bordone, un grande numero di scarpe consumate. Questi narrò al santo i luoghi che aveva attraversato, con gran dovizia di particolari, durante il suo tragitto dalla Germania fino alla Galizia. Il santo chiese al pellegrino loquace quanto mancasse per arrivare a Santiago, e questi gli rispose che la cattedrale era ancora tanto lontana, che avrebbe dovuto consumare un numero di scarpe simile a quelle che aveva attorcigliate intorno al suo bastone, prima di poterla raggiungere. San Marco, esausto, desistette dal continuare il pellegrinaggio, e costruì in quel luogo la cappella che oggi porta il suo nome.
Va da sé che il pellegrino in questione era il demonio, sempre pronto a scoraggiare e a sviare i pellegrini diretti verso la meta santa. Se solo san Marco avesse fatto pochi passi, avrebbe visto le guglie della cattedrale e si sarebbe accorto dell’inganno. Ma le leggende nascondono sempre un significato più profondo. Così come nei miracoli di san Giacomo, tramandati nel Codex Calixtinus, l’Apostolo ha pietà dei pellegrini sedotti dalla convincente quanto menzognera dialettica del Maligno, anche in questo caso quel che conta non è l’essere stati ingannati, quanto la perseveranza nella fede.
L’aver riposto ingenuamente fiducia nelle persone sbagliate, aver dato loro ascolto soggiogati dal fascino delle loro parole o dal prestigio di chi le pronunciava, non è motivo di disperazione. E’ motivo di dannazione perdere la fiducia in Dio e non rendergli grazia in ogni circostanza. San Francesco aveva istituito la porta del Perdon a Villafranca del Bierzo, perché tutti i pellegrini che non sarebbero potuti giungere a Santiago potessero confessarsi e comunicarsi per morire santamente, concludendo in quel luogo il loro pellegrinaggio terreno. Allo stesso modo il san Marco della leggenda, evidentemente impossibilitato a camminare ancora per diversi mesi, confida in Dio e gli offre una dimora nella quale poter pregare fino all’ultimo istante di vita, non potendogli offrire il sacrificio del proprio corpo, ormai consumato dalla fatica. La meta è sì importante, ma quel che più conta è perseverare fino alla fine. I ghigni del tentatore, le lusinghe e le seduzioni durano solo qualche istante, ma le opere della fede rimangono imperiture nei secoli, come la cappella di san Marco sul Monte del Gozo..
E’ quanto lo stesso san Marco ci dice nel suo Vangelo, riportando le parole di Gesù: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate! (Mc 13, 33-37)
Il pellegrinaggio muove tutta la persona, corpo, anima e spirito, ponendola in uno stato di veglia continuo e mai sperimentato prima. Per questo rimane impresso nei cuori di chi lo ha portato a termine, senza forse conoscerne il motivo vero. L’evangelista Marco, quando Santiago è ad un passo ormai, ma apparentemente irraggiungibile, ci ricorda la misericordia di Dio per i suoi figli che non disperano mai, anche quando le forze sono esauste e tutto sembra perduto. Un mistero, che si svela passo dopo passo a chi si abbandona alla volontà di Dio con il cuore puro, nel corso del proprio pellegrinaggio.