di Pedro Campos Ruiz1
All’inizio di questa serie di leggende e tradizioni della terra di Estella, consideriamo opportuno cominciare, con un capitolo di dovuta cortesia, riportando l’aurea leggenda storica, sorella maggiore di tutte le altre, che fa riferimento al ritrovamento prodigioso dell’immagine di Nuestra Señora la Virgen del Puy.
E ciò che ci spinge a questo omaggio non è certamente il disconoscimento dell’evento miracoloso, ben noto in tutta la Navarra, e soprattutto a Estella e nel suo circondario, al quale è nobilmente vincolata la sua storia gloriosa; ma la fondata consapevolezza, da buon estellese e da innamorato della Patrona, che le primizie dei sentimenti e del proprio lavoro vanno sempre deposte ai piedi del Suo trono, che è il centro di tutti i cuori che battono nella città dell’Ega.
Oltre a ciò che abbiamo ricevuto e continuiamo a ricevere sul piano spirituale, anche su quello materiale Estella deve la vita e la sua importanza alla Virgen del Puy.
E questo, che tutti gli storici dell’antico Regno riconoscono unanimemente, stimola anche noi nel dare inizio a questa galleria di leggende, dalla grande attrattiva spirituale, per delineare, sia pure brevemente, la sua bella storia, magnifico canto d’amore con il quale la celeste e magnanima Signora ci ha costantemente accompagnato dalla sua radiosa apparizione fino ai nostri giorni.
Ed anche quando non vi è completa unanimità di giudizio, tra i cronisti che hanno affrontato il tema dell’esattezza della data, quella ritenuta più probabile è l’anno 1085, per le circostanze varie ed eccezionali che hanno consentito il ritrovamento dell’immagine sacra.
Lizarra era un’entità urbana costituita da diversi villaggi, piuttosto importante già in quel periodo delimitata dal castello di Deyo2, una formidabile torre di avvistamento che consentiva di tenere a debita distanza i Mori e le loro incursioni e da Abárzuza, pregevole villaggio, culla dei re della nascente monarchia navarra.
Lizarra, dolcemente adagiata sulla bella collina che la protegge, aveva davanti ai propri occhi un panorama grandioso da ammirare: di fronte ecco il formidabile Bastione di San Esteban de Deyo, che Sancho Garcés sottrarrà ai musulmani; nella bassa pianura del Monte Leto o Montejurra, vi è il maestoso monastero di Irache, nel quale Veremundo, il santo abate, governava con grande zelo i destini dell’importante comunità; alla sua destra, le sierre di Lóquiz e di Andía, smaltate nella parte bassa dai villaggi di Valdellín e Améscoa; alla sua sinistra, La Solana con i suoi borghi interessanti; ai suoi piedi, un piccolo villaggio di case sparse, un superbo pergolato e terre fertili irrigate, immerse nel bellissimo nastro d’argento dell’Ega, che le circoscriveva a ferro di cavallo scorrendo dolcemente verso la Ribera.
La placidità e la sicurezza delle incolumi montagne, difese dalle fortezze poste davanti a loro, costituivano una piacevole oasi di pace nel quadro bellico disegnato dalle continue incursioni di truppe.
Tra i vicini poggi di Lizarra e il suo castello si potevano ascoltare tutte le mattine i campanacci del bestiame proveniente da Yerri, mentre pasceva mansueto l’abbondante pasto, mentre gli ingenui pastori si esercitavano durante il giorno nell’uso della fionda, nell’eventualità di dover difendere il forte, per poi ritornare al tramonto, dopo aver radunato il bestiame, nelle rispettive case.
Nella felice apparizione della Vergine del Puy hanno avuto un ruolo importante alcuni pastori di Abárzuza, che in una splendida notte di maggio furono i pii autori della scoperta.
Trascriviamo integralmente la breve narrazione che nelle Memorie storiche della città di
Estella, curioso manoscritto dell’inizio del secolo XVIII, riporta il cronista locale Don Baltasar de Lezáun y Andía nel suo terzo capitolo.
Nell’anno in cui la città di Toledo venne conquistata dal Re Don Alonso Sexto de Castilla (il 24 maggio 1085), alcuni pastori stavano facendo pascolare il loro bestiame su una prominente collina chiusa da spessi cespugli e da giovani lecci; quando la notte si fece più scura videro delle stelle luminosissime che sembravano dirigere i loro raggi splendenti su quella vetta; il prodigio si ripeté per altre notti muovendo la sincera pietà dei pastori nell’intento di svelare il segreto di quella portentosa manifestazione di luci, e dopo aver attentamente riconosciuto il luogo in cui convergevano le luci delle stelle, trovarono in una grotta, chiusa dalle spine, la più bella rosa di Gerico, un’immagine di Nostra Signora, la Vergine Maria, che teneva nel palmo della sua mano sinistra il bambino Gesù; Madre e Figlio, di un’estrema bellezza, che né l’oscurità del luogo né il corso dei secoli sono riusciti ad offuscare.
La scoperta miracolosa si diffuse in tutta la contea, e il clero di Abárzuza, che si trova a una lega da quella collina, avvisato dai pastori, venne a riconoscere il prodigio, del quale diede notizia al vescovo di Pamplona; questi, mosso dalla sua devozione, si recò sul luogo, e non volle defraudare l’animo religioso del re don Sancho Remírez (sovrano di Navarra e di Aragona), del felice annuncio.
Questo glorioso monarca si trovava in quell’occasione a Toledo, in appoggio con le sue truppe al re Don Alonso de Castilla, suo cugino, intento alla conquista della città, e Don Sancho, nel colmo della gioia per il fatto che il cielo visitasse il suo regno con un tale favore, lasciò il suo esercito nel regno di Toledo e partì immediatamente per venire a venerare ciò che i suoi vassalli gli avevano annunciato, e pose la sua corona ai piedi di Maria.
Soddisfatta la sua devozione con la visita alla prodigiosa immagine, concordò con il vescovo di farla traslare dalla sommità di quella collina, dove fu ritrovata, verso la pianura, dove vi sono ora la città e la chiesa di Lízarra (che alcuni sostengono fosse già stata eretta in quel tempo), in modo che tutti potessero venerare l’immagine con maggiore agio e frequenza: presa questa risoluzione di spostare verso la pianura l’immagine da parte del Re, del Vescovo e di tutti coloro che erano convenuti, nel muovere i primi passi l’immagine si rese immobile, opponendo una resistenza occulta e meravigliosa, senza che nessuna forza umana riuscisse a spostarla in avanti; Maria Santíssima, con questo prodigio, ha manifestato il suo desiderio di essere venerata nello stesso posto in cui è stata ritrovata; e così tutti diedero fine ai loro sforzi e riportarono l’immagine nello stesso sito in cui fu ritrovata dai pastori, e nel quale venne edificata con il massimo decoro una cappella; e adiacente ad essa, una casa per dare alloggio al re quando il suo fervore lo avesse mosso a venerare ancora una volta l’immagine. Reso noto il prodigio in tutto il Regno, fu innumerevole il concorso dei devoti convenuti a visitare la santa immagine; e il loro desiderio di stabilirsi presso il santuario,
spinse il re Don Sancho a ricostruire o aumentare le dimensioni di Estella, disegnando nel suo stemma una Stella a imperituro ricordo della sua fondazione, e si dice che i nuovi coloni abbiano lasciato nella vecchia cappella della Vergine alcuni versi che dicevano:

Esta es la Estrella
que bajó del cielo a Estella
para regalo de ella.

Questa è la stella
scesa dal cielo a Estella
prezioso regalo di Lei.
E nel luogo in cui la statua diventò immobile, che è lontano trenta passi da dove è stata rinvenuta (e dove ora si trova), costruirono un’edicola con un’altra immagine di Nostra Signora, che si conserva a ricordo del prodigio.
Questa è la sintesi della sua apparizione.
La storia del culto e della venerazione che ha ricevuto, i prodigi, le grazie e i favori che ha dispensato alla città e ai suoi devoti sono testimonianze eloquenti; il suo tempio, con le diverse ed importanti trasformazioni che si sono succedute in epoche diverse, fino all’attuale costruzione della Basilica, di dimensioni monumentali; le donazioni, i gioielli, i vestiti offerti dalla città, dal circondario e da semplici privati; le prerogative, le concessioni e i privilegi che con santa emulazione sono stati generosamente concessi da diversi monarchi; la fiorente, prospera e ininterrotta devozione che Estella ha tributato e continua a tributare alla sua così celestiale Signora, fino ad acclamarla ufficialmente come sua Patrona, così come la grandissima testimonianza d’amore con la quale i suoi figli fedeli l’hanno da sempre onorata, non possono trovare spazio in questo modesto lavoro.
1. Tratto da Leyendas y tradiciones estellesas, Jesus Garcia, Pamplona 1938
2. Castello di Villamayor de Monjardin