La Gerusalemme delle Asturie: il Santo Toribio di Lìebana (1)

                                        

di Maurizio Minchella

Chi era  diretto a Compostela percorrendo la costa atlantica, a San Vicente de la Barquera poteva, e può anche oggi, proseguire verso sud-ovest costeggiando lunghissimi e a volte inquietanti desfiladeros, solcati in profondità da brevi ma robusti corsi d’acqua che hanno origine nella fortezza asturo-cantabrica dei Picos de Europa. Più che una catena montuosa, i Picos hanno le sembianze di una fortezza, di un castello dallo stile gotico e templare, che si affaccia imponente sull’Oceano Atlantico, ed in particolare sul golfo di Biscaglia, in continuità con le coste europee, e dall’altra cinge con le sue bianche rocce la meseta castigliana e leonese, un’immensa distesa di terra fertile, nella quale insieme alla vite ed al frumento è germogliata per secoli la storia. Le sue cime gugliformi ricordano anche una corona, una ghirlanda pietrosa, solida e inaccessibile.

Risultati immagini per santo toribio de liebanaTra le guglie si staccano, come lame affilate, delle gole che scendono quasi a picco a livello del mare per risalire verticali fino ai 2.000 – 2.500 metri delle vette più elevate. Come la Gallia, i Picos  sono divisi in partes tres, quasi inaccessibili l’una all’altra, se non per ripidissimi ed esposti sentieri, da salire e ridiscendere ripetutamente, scortati dalle aquile che cingono le cime innevate, per giungere ai prati e alle malghe popolate da stambecchi, bovini e cavalli in grande numero. Come tutte le corone degne di questo nome, anche i Picos sono incastonati da gemme preziose ed inestimabili, che ne fanno un tesoro unico nel suo genere.

E come tutte ciò che è prezioso è inaccessibile ai più, pur essendo a tutti visibile. Paradiso per gli escursionisti e per gli alpinisti, i Picos lo sono a maggior ragione per gli hobbit delle montagne, i pellegrini, che si muovono tra le sue pietre con rinnovato entusiasmo. Sì, perché ad attenderli nella Lìebana vi è la piccola Gerusalemme asturiana, costituita dal santo Toribio, nella parte orientale dei Picos, dove è venerata la più grande reliquia del lignum crucis conservata al mondo, e nella parte occidentale spicca la grotta di Covadonga, laddove la Vergine animò re Pelagio e i suoi pochi soldati a combattere le foltissime schiere saracene che vessavano il territorio, dando vita nel 722 alla Reconquista, che si concluse nel 1492 con la presa di Granada. Discesi dai Picos, attraversata l’antica capitale asturiana, Congas de Onis, la strada porta rapidamente a Oviedo, nella cui cattedrale è conservato il sudario nel quale venne avvolto il volto di Gesù sul Calvario, e ritrovato piegato nel santo Sepolcro. 

A differenza dei sacri monti istituiti da san Carlo Borromeo in Piemonte e in Lombardia, in cui i calvari e le chiese vennero edificati ad imitazione dei santi luoghi gerosolimitani, e volevano dare la possibilità alla Cristianità, impossibilitata ad andare in pellegrinaggio in Terrasanta a causa della presenza turca, se non a prezzo di grandi rischi, di meditare e di rivivere la Passione, la Morte e la Resurrezione di Nostro Signore, in un contesto naturale di altissima intensità, i sacri monti asturiani di quell’avvenimento posseggono delle reliquie di straordinaria importanza, sia per la loro unicità, sia per la loro importanza storica e religiosa. Vennero portate in questi luoghi inaccessibili e lontani dalle strade più frequentate, per essere preservate da profanazioni e da furti sacrileghi che la presenza musulmana in Spagna faceva presagire. 

Questi tesori della fede non potevano non richiamare i pellegrini compostelani, e molti di loro lasciata la città dei tre mari, san Vicente de la Barquera, affrontavano le prime colline della Cantabria per raggiungere in un paio di giorni la Lìebana, il cui cuore, appena fuori dal più importante centro della regione, Potes, è rappresentato dal monastero di santo Toribio.

Santo Toribio nacque nei primi anni del V secolo. Fu vescovo di Astorga, e come si evince da epistole indirizzate ai vescovi Galiziani Alvito, Paolo Orosio ed altri, si recò in pellegrinaggio in Terrasanta. Qui ottenne l’incarico di custode delle sante reliquie, e quando rientrò nella sua madrepatria ne riportò in gran numero; tra queste, alcune parti del corpo di santo Stefano protomartire, l’immagine della Virgen de la Encina, portata dal santo nel Bierzo, e divenuta poi patrona di Ponferrada, che venne nascosta nel IX secolo per proteggerla dalle razzie dei musulmani, e miracolosamente ritrovata dai Templari durante la costruzione del famoso castello, e soprattutto il braccio sinistro del Lignum Crucis. Tornando in Spagna, santo Toribio si fermò a Roma, dove sostò qualche tempo, godendo dell’amicizia del papa san Leone Magno, il quale nutriva una grande considerazione nei suoi confronti. Venne nominato vescovo di Astorga, e il suo episcopato si distinse in particolar modo nella lotta contro l’eresia priscilliana, contro la quale venne indetto nel 447 il concilio di Braga, al quale partecipò come delegato papale. Morì nel 456 ad Astorga, pochi mesi prima che Teodorico radesse al suolo la città.

In quegli stessi anni si ha memoria di un santo di Palencia che portava lo stesso nome. Di lui si sa che fu un predicatore, un confessore della fede, e che evangelizzò la Lìebana. Anche di questo santo è conosciuto il suo strenuo impegno a debellare l’eresia priscilliana, di carattere fondamentalmente gnostico e fondata sul manicheismo dualista, la quale negava l’incarnazione di Gesù Cristo e l’esistenza della santissima Trinità, e praticava un rigorismo ascetico particolarmente duro. Di questa eresia se ne occuparono anche sant’Agostino, che ne confutò le teorie nel De haeresibus (Sulle eresie), e san Martino di Tours, anch’egli presente al concilio di Braga. Vescovo di Avila, Priscilliano, dopo vani tentativi di riconciliazione, venne ridotto allo stato laicale, e poi condannato a morte nel 385 dall’imperatore Massimo Magno Clemente insieme ad alcuni suoi seguaci, accusato di aver praticato l’arte magica. L’eresia, diffusa dai visigoti, conobbe un largo seguito in Galizia, nelle Asturie e nella Castilla palentina. In questa città, dove andò a predicare, santo Toribio venne violentemente osteggiato dai suoi abitanti. Preso a pietrate, si rifugiò in una grotta posta ai piedi della collina di Otero. Qui il santo si raccolse in preghiera per chiedere la conversione dei palentini, la qual cosa ebbe luogo dopo l’inondazione della città, causata dallo straripamento del fiume Carrìon. Gli abitanti si recarono alla grotta e chiesero al santo di far cessare la piena, dopodiché abiurarono per sempre le teorie priscilliane, e ancora oggi la vicenda storica viene ricordata nell’ultima settimana di aprile con la  romeria della Pedrea del Pan y el queso, nella quale i partecipanti vengono colpiti dal pane e dal formaggio, a ricordo delle pietre che i loro antenati avevano lanciato contro il predicatore, essendo diventato santo Toribio patrono della città insieme a san Antolìn. Sopra la grotta è stata posta nel 1930 una delle sculture più alte al mondo, quella del Monumento al Sagrado Corazón de Jesus, detta anche Cristo del Otero, alta circa 20 metri, opera dello scultore Victorio Macho, che nella sua bianca verticalità benedice la città sottostante e l’immensa distesa dei campi palentini, coltivati quasi esclusivamente a cereali. 

Risultati immagini per cristo del otero

Vi sarebbe un terzo santo Toribio, quello di Lìebana, il costruttore della basilica, la cui vicenda coincide in gran parte con quella dei suoi omonimi, tanto che l’ipotesi più probabile è che i tre santi Toribio non siano altro che si la stessa persona, connotata in modo diverso nelle agiografie redatte da mani diverse. Tra le varie differenze vi sarebbe l’improbabile nascita del santo nella città lombarda di Torino, molto probabilmente una deformazione di Turieno, in riferimento alla dedicazione originale del monastero a san Martino, prima che in questo luogo venisse custodita la reliquia del Lignum Crucis. Nella vita di san Toribio conservata nella biblioteca del monastero lìebanego non mancano riferimenti a predicazioni in Italia del santo, assenti nelle più note agiografie dedicate alla vita di santo Toribio, il Flos sanctorum, de las vidas de los santos e la Istoria Sancti Thuribii. 

Del monastero fondato da santo Toribio nel luogo in cui il santo e i suoi discepoli si ritirano per condurre vita eremitica si ha notizia a partire dal XII secolo. La sua edificazione risale evidentemente ai tempi del suo fondatore, ed è marcata da leggende e da miracoli che appartengono alla storia del monastero e della Lìebana. Una di esse racconta che il santo si ritirò sul monte sovrastante l’attuale monastero, dopo che gli abitanti del luogo si rifiutarono di aiutarlo a costruire la chiesa. In un bosco incontrò un grosso bue ed un orso che stavano lottando tra di loro, e il santo li ammansì con la sola parola; i due animali spontaneamente unirono le loro forze per spostare una grossa pietra che avrebbe delimitato il sacro recinto. Raffigurazioni di questo miracolo sono presenti nel monastero e in molte chiese della Lìebana. Un altra leggenda vuole che l’orso ammazzò il toro che stava aiutando il santo nei lavori di fatica, e che l’orso, ammansito dal santo, prendesse il posto del toro e rimase con lui ad aiutarlo fino a che tutte le pietre necessarie all’edificazione del santo luogo non fossero state portate nei pressi della chiesa in costruzione. Si racconta ancora che santo Toribio, sempre dal monte della Viorna, abbia lanciato il suo bastone per  individuare il luogo sul quale edificare il monastero, come gli venne suggerito di fare da un angelo.

I monaci che per primi lo abitarono furono benedettini, che si presero cura del culto della santa reliquia. Papa Giulio II nel 1512 concede il privilegio dell’Anno santo Liebanego, che sarà celebrato ogni qualvolta il giorno di san Toribio, il 16 aprile, cade di domenica. Questo privilegio ad oggi è concesso solo a Gerusalemme, Santiago, Roma, Caravaca de la Cruz, Urda, Valencia e al santo Toribio. Il più illustre tra i suoi monaci fu il Beato di Lìebana, che vi compose il famosissimo Commentario all’Apocalisse, che venne miniato in molte chiese presenti sul Camino Frances, o prossime ad esso. Il Beato de Lìebana scrisse anche l’inno O Dei Verbum, composto per richiedere la protezione della Spagna a san Giacomo, qualche decennio prima che l’arca marmorea contenente i resti dell’Apostolo venisse ritrovata nel Campus stellae galiziano. La chiesa attuale, costruita nel XIII secolo è di pianta rettangolare e di stile gotico. Nella cappella barocca posta sul lato Nord della chiesa è conservato il Lignum crucis, oggetto della venerazione da secoli da parte di fedeli e di pellegrini, che giungevano al luogo santo dopo aver camminato la notte precedente, a la vez, in armonia con la tradizione mistico-devozionale del cattolicesimo spagnolo.

 

 

Questa voce è stata pubblicata in Il senso religioso del pellegrinaggio, Luoghi del cammino di santo Toribio, Storia del pellegrinaggio e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.

Rispondi