I monaci artiglieri di santa Maria de Oya

                                 di Elentir

Chi percorre il cammino portoghese della Costa da Caminha a Moguès si imbatte nell’imponente Monastero di santa Maria de Oya. Di origini incerte, si presume che fu fondato nel XII secolo da monaci benedettini, che confluirono in seguito nell’ordine cistercense; la sua lunga e affascinante storia ha conosciuto leggende miracolose che qui hanno visto la luce nel corso dei secoli, e che hanno contribuito a dar lustro alla sacralità del monastero, abitato da sempre da monaci singolari  per temperamento e sensibilità. A loro si deve tra l’altro, oltre all’introduzione della vite in queste terre, anche l’allevamento dei cavalli che vivevano allo stato brado nelle terre circostanti, dando origine all’antica tradizione gallega della Rapa das bestas, festa nella quale i partecipanti si cimentano nel tagliare le criniere dei cavalli selvatici. Nel monastero era conservata la Virgen del Mar, una statua ritrovata nelle acque circostanti il monastero, raffigurante la Madonna ornata di una collana di conchiglie che tiene legato a sé un cane, legato con una sorta di catena. La confisca di  Mendizábal fece sì che nel XIX secolo la vita di questo cenobio, come quella di tante chiese e monasteri di Spagna, volgesse al suo termine. Ma la sua storia e le sue leggende l’antico monastero le racconta ancora ai pellegrini che passano fiduciosi sotto le sue mura. (M.M.)

Sabato scorso, mentre stavo facendo un tour fotografico della costa, mi sono fatto coraggio nonostante il freddo, e mi sono lasciato alle spalle la Ria de Vigo per addentrarmi nella montagnosa costa atlantica nel sud della provincia di Pontevedra, dove si staglia uno dei luoghi più suggestivi della zona: il Monastero di Santa María la Real de Oya. Situato nel centro di una bella città di mare, fondata nel XII secolo, il maestoso edificio – oggi in precarie condizioni – ha vissuto una delle più singolari imprese militari e temo anche delle più dimenticate della storia della Spagna: un fatto d’armi nel quale i monaci cistercensi del monastero misero in mostra la loro abilità di artiglieri.

La costante presenza dei pirati musulmani lungo queste coste hanno indotto la Corona alcuni secoli fa ad affidare ai monaci la doppia funzione di vedette e artiglieri, utilizzando il campanile del monastero come torre di osservazione, ed assegnando all’abate il grado di generale nonché il comando della difesa locale, compiti che hanno avuto esito anche in combattimenti come quello avvenuto nel 1624. Ma prima occuparci di quanto avvenuto in quella data dobbiamo fare un salto indietro nel tempo.

Il Monastero di Oya diventa una fortezza armata

Nel 1616, un anno prima della sua morte, il sultano Ahmed I Bakhti, monarca dell’Impero turco, ordinò un’offensiva navale che infestò le coste della Galizia di vascelli musulmani. Una parte della flotta si addentrò nella Ria de Vigo attaccando diversi villaggi, mettendo a ferro e fuoco case e chiese; uccisero molti civili e ne catturarono altri in gran numero, riducendoli in schiavitù. Nel 1621 l’abate di Oya chiese aiuto a Rodrigo Pacheco Osorio, capitano generale della Galizia e terzo marchese di Cerralbo, prima che gli invasori dessero il via all’assalto. Per tutta risposta il capitano generale ordinò al capitano e al luogotenente del suo distaccamento dislocato in quella zona di prendere dimora nel monastero, senza trascurare di fornire ai monaci alcuni pezzi di artiglieria per garantire la difesa della zona costiera.

E fu così che il complesso religioso, con la sua grande parete a picco sul mare, divenne un fortilizio. I monaci si occuparono dii riparare i pezzi di artiglieria (solo due di essi giunsero in uno stato idoneo per l’utilizzo) e prepararono la polvere da sparo necessaria alla controffensiva. La dotazione militare del monastero si arricchì peraltro di una buona scorta di moschetti.

La lotta tra i monaci e una piccola squadra turca

Correva il 20 aprile del 1624 quando una nave francese ed una portoghese (alcune fonti indicano che quest’ultima era inglese) raggiunsero il porticciolo del Monastero di Oya sfuggendo a cinque navi turche che stavano dando loro la caccia. Vedendo quanto stava accadendo, i monaci lanciarono diverse scialuppe in acqua per salvare l’equipaggio delle navi che si erano rifugiate nella baia a causa del pericolo che incombeva su di loro e che avevano preferito mettere la loro vita in salvo abbandonando le loro imbarcazioni. Le campane del monastero iniziarono a suonare all’impazzata per chiamare gli abitanti del villaggio a difesa. Vennero caricati i cannoni situati sulle mura che davano sul mare e le loro bocche, così come gli archibugi, cominciarono a rigurgitare fuoco verso le navi turche.

I musulmani ebbero la sventura che nel Monastero di Oya vi fosse in quel frangente frate Anselmo, un monaco dalla lunga barba che in gioventù era stato capitano del Tercio nella campagna delle Fiandre. La sua esperienza militare fece sì che questi assunse la direzione della difesa dopo tre ore di un fitto incrocio di colpi di artiglieria tra i cannoni del monastero e quelli delle navi turche, mentre ferveva un’attività frenetica nel villaggio che si divideva tra la difesa e il trasporto di acqua in secchi per spegnere gli incendi causati dai colpi dai turchi.

Questo è per conto della Virgen de Oya!

Narrano le cronache che dopo aveva sparato quindici cannonate che andarono tutte a segno, frate Anselmo mentre veniva esploso il sedicesimo colpo gridò: Questo è per conto della Virgen de Oya. Quando il fumo si diradò, i difensori del monastero videro che una delle navi turche era stato colpita e faceva acqua, finendo con l’affondare in poco tempo e trascinando verso il fondo del mare la barca che veleggiava al suo fianco. Morirono 37 turchi (38 secondo altre fonti), e altri nove furono presi in consegna dai monaci, quando riuscirono a raggiungere la riva a nuoto. Le altre navi che avevano dato vita all’assalto, quando videro quanto accaduto ai loro compagni guadagnarono in fretta il largo, e batterono in ritirata.

Le gesta dei monaci artiglieri di Oya giunsero alla corte di re Filippo IV, che premiò i difensori di questa comunità galiziana concedendo al monastero il nome di Santa María la Real de Oya. I monaci continuarono a fare le vedette e i difensori di Oya fino a gran parte del XVIII secolo, e anche se quelli coste frastagliate continuarono ad essere attaccate dai turchi e da altri nemici, non furono mai più protagoniste di un fatto d’armi simile a quello che ebbe per protagonisti i monaci artiglieri nel 1624.

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