San Giuseppe Benedetto Labre e la Musellina di sant’Angelo Lodigiano

di Achille Ferrari

Adorare Gesù Cristo, che si fa presente e che dimora nell’Eucaristia, è adorare il Crocifisso che ci redime col suo sangue, è adorare il Risorto che ci rende partecipi della sua vita divina, è adorare il Capo che ci costituisce sue membra. Questa adorazione nasce e si radica nella Santa Messa, per poi diramarsi fuori da essa. Con la Messa, l’Eucaristia viene ricevuta; con l’adorazione, l’Eucaristia viene contemplata e desiderata, se nel tabernacolo il Cristo attende, come si può non andare da lui e stare con lui? Una figura tipicamente e fortemente eucaristica è quella di S. Giuseppe Benedetto Labre (1748-1783), in lui sembra che l’Eucaristia abbia manifestato tutte le sue possibilità di grazia. Il povero delle SS. Quarantore è stato ricordato anche recentemente da Papa Francesco con una sensibilità evangelica secondo cui bisogna imparare dai poveri e dai meno fortunati: […] Quanto vorrei che le comunità parrocchiali in preghiera, all’ingresso di un povero in chiesa, si inginocchiassero in venerazione allo stesso modo come quando entra il Signore! Quanto vorrei questo, che si toccasse la carne di Cristo presente nei bisognosi […] Chi mai pensa che un senza dimora sia una persona da cui imparare? (cfr. Papa Francesco il 28/04/2015).

Benedetto Giuseppe Labre era nato il 26 marzo 1748 a Saint Sulpice d’Amettes (Artois) in Francia. Fin dall’infanzia ha rivelato una chiara inclinazione alla vita contemplativa e alla penitenza. A dodici anni aveva avuto la vocazione per la vita consacrata ma, dopo essere stato ammesso come probando (uno che aspira alla vita religiosa) nell’Abbazia Cistercense di Sette Fonti nel Bordonese, dovette uscirne dopo pochi mesi perché assalito da indicibili tormenti spirituali e in preda a un deperimento fisico che faceva temere per la sua vita. Rimessosi alquanto in salute a vent’anni si fa pellegrino, ma non per il gusto di viaggiare, conoscere città nuove, vibrare di nuove emozioni. Spera soltanto di trovare asilo in uno dei numerosi conventi di Trappisti, le Trappe; ma bussa invano a tutte le porte. Nessuno risponde. Troppo giovane dapprima, poi troppo debole e di salute cagionevole. Viene scambiato spesso per un ladro, ma i penitenzieri dei santuari che ne raccolgono la confessione, sono incantati quasi abbagliati dalla luce interiore dei suoi discorsi. A chi gli porge una vivanda, non chiede che un sorso d’aceto: un richiamo alla Passione di Gesù, al sacrificio della Croce. Cercano invano di ospitarlo, di curarlo.

L’insolito pellegrino forte soltanto della sua fede, riprende animosamente il viaggio. Incontra molte città, d’ogni lingua, d’ogni importanza: in Italia, Francia, Spagna e Svizzera. Fra tutti i santuari predilige Loreto e vi ritorna più volte, ma sopra tutte elegge sua patria spirituale, da uomo della strada e libero, Roma. Mendicante povero, si comporta da gran signore con gli altri poveri e dona loro quanto raccoglie in elemosina; grande devoto e adoratore del SS.mo Sacramento fu visto per anni peregrinare di chiesa in chiesa a Roma dove si tenevano le SS. Quarantore. Era talmente assorto dalla contemplazione, che si intratteneva notti intere nelle chiese dove si svolgevano le SS. Quarantore e stava per lunghe ore immobile davanti a Gesù in preghiera adorante. Sembrava vedere Cristo nell’Ostia, anche con gli occhi del corpo: estasi, rapimenti mistici gli erano abituali al momento dell’elevazione durante la S. Messa. La sua testimonianza è la dimostrazione che l’adorazione è la perfezione dell’amore che spontaneamente tende a donarsi. A chi gli chiede il segreto della sua vita prodigiosa, il Labre quasi soprannaturale, risponde: È necessario avere tre cuori, tre cuori riuniti in uno solo: un cuore eletto all’amore di Dio, un cuore all’amore del prossimo, un cuore al dispregio di se stesso. Ridotto ormai all’assoluta indigenza morì il 16 aprile 1783 dopo aver compiuto anche straordinari miracoli: fu sepolto dopo tre giorni di trionfali onori nella chiesa della Madonna dei Monti dove ancor oggi si venerano le sue spoglie e si trovano le reliquie (poverissime) di lui, la bisaccia del pellegrino, una ciotola per sfamarsi, un camicione e un cappello. Il Beato Papa Pio IX lo beatificò il 7 maggio 1860 e Leone XIII lo canonizzò il giorno dell’Immacolata Concezione l’8 dicembre 1881.

Ricordiamo che percorrendo la via Francigena, San Giuseppe Benedetto Labre all’età di 22 anni, nell’autunno (e secondo lo storico don Giulio Mosca più precisamente nel mese di settembre) del 1770 sostò nella cascina Musellina di Sant’Angelo dalla famiglia di Fermo Savarè e Maria Rancati, genitori di Padre Domenico Savarè (1813-1895), la cui nascita, secondo tradizione, fu profetizzata alla madre dal Santo stesso. Il Padre don Domenico Savarè di Sant’Angelo, Procuratore della Congregazione dei Padri Somaschi in Roma (S. Alessio), fondatore dell’Orfanotrofio S. Giuseppe in Sant’Angelo (unitamente al sacerdote don Pietro Bergamaschi) scriveva da Roma il 19 dicembre 1881 alla sua cugina Luigia Savarè, questa lettera: Riceverai l’immagine di S. Giuseppe Benedetto Labre, or ora canonizzato. Noi dobbiamo avere particolare devozione a lui e venerarlo come particolare protettore, perché facendo egli il pellegrinaggio a piedi dalla Francia a Roma, ha scelta e distinta fra tante cascine grandi e belle la nostra cara e piccola Musellina, in dove siamo noi nati, ed ha favorito della sua visita celestiale la famiglia dei nostri poveri vecchi. Me lo diceva sempre il povero papà Fermino e mi diede anche una volta a leggere la sua vita, e mi diceva che i nostri nonni per la loro carità ricevevano sempre i viandanti, ebbero così questa bella avventura di accogliere quel pellegrino francese e dargli il cibo fargli il letto colla paglia, ed egli benediva i figli ed i contadini […]. (cfr lettera dall’Archivio Parrocchiale). La stessa Madre Cabrini che varie volte lo incontrò a Roma parlava di Padre Savarè come di un Santo. Il parroco Mons. Bassano Dedè (1857- 1892) nell’aprile del 1883 fece una petizione per ottenere la facoltà di benedire l’immagine murale del santo alla Musellina e di celebrare ogni anno la festa il 16 aprile. La richiesta venne accolta dal vescovo di Lodi Mons. Domenico Maria Gelmini (1871 – 1888). 

Nell’aprile 1883 si tennero a Sant’Angelo diverse feste religiose in suo onore, con l’esposizione, in Parrocchia di una reliquia del Santo. Anche la Società Cattolica di Mutuo Soccorso (la prima sorta in Diocesi nel 1881) nel solennizzare la festa del suo patrono San Giuseppe e l’anniversario della fondazione, volle caratterizzare tale festa ricordando anche il Santo Benedetto Giuseppe Labre il 15 aprile 1883, sia per la sua venuta a Sant’Angelo che per il centenario della morte. Ad onorare la giornata, vennero da Milano il marchese Vincenzo Stanga (rappresentante del Comitato Regionale di Milano della Società Operaia Cattolica) e il sacerdote don Carlo Bonaccina.

I soci operai col presidente Francesco Altrocchi si raccolsero nel locale dell’Oratorio festivo di San Bartolomeo per il pranzo di circa duecento coperti, tutto curato dalla signora Virginia Cortese (donatrice, l’anno prima, della bandiera della Società stessa). Indi si recarono in chiesa parrocchiale e poi ci fu un’adunanza all’Oratorio di Santa Marta, dove parlarono il marchese Stanga sul ruolo e sulla missione dell’operaio cattolico e don Bonaccina che sottolineò lo spirito della festa. Terminata l’adunanza, società, popolo e clero sfilarono dietro la bandiera e la banda in lunghissima processione sino alla cascina Musellina, dove fra le più sonore e festose acclamazioni e concerti musicali, si inaugurò l’affresco al Santo Labre, dipinto dal pittore Vittorio Toscani (figlio del bravo decoratore Giuseppe) ed una lapide commemorativa posta dal parroco mons. Bassano Dedò.

I paesi circostanti si erano letteralmente riversati in Sant’Angelo e le cronache riportavano che alla Musellina si vedeva gente fin sui tetti e sulle piante, tanto era l’entusiasmo per l’avvenimento. Si può sottolineare che fin d’allora Sant’Angelo Lodigiano era affezionato al Santo pellegrino Labre, e ancora oggi è un dovere ricordarlo.

Saint Benoît-Joseph Labre, di Paul Verlaine

Jour de la canonisation                                      Giorno della canonizzazione

Comme l’Église est bonne en ce siècle de haine,
D’orgueil et d’avarice et de tous les péchés,
D’exalter aujourd’hui le caché des cachés,
Le doux entre les doux à l’ignorance humaine

Et le mortifié sans pair que la Foi mène,
Saignant de pénitence et blanc d’extase, chez
Les peuples et les saints, qui, tous sens détachés,
Fit de la Pauvreté son épouse et sa reine,

Comme un autre Alexis, comme un autre François,
Et fut le Pauvre affreux, angélique, à la fois
Pratiquant la douceur, l’horreur de l’Évangile !

Et pour ainsi montrer au monde qu’il a tort
Et que les pieds crus d’or et d’argent sont d’argile,
Comme l’Église est tendre et que Jésus est fort !

Come è buona la Chiesa in questo secolo di odio, 
d’orgoglio e d’avarizia e di tutti i peccati, 
a esaltare oggi il nascosto fra i nascosti, 
il dolce fra i dolci dinanzi all’ignoranza umana 

e il mortificato senza uguali che la Fede conduce, 
livido di penitenza e bianco d’estasi, 
fra i popoli e i santi, che, libero dai sensi, 
fece di Povertà la sua sposa e la sua regina 

come un altro Alessio, come un altro Francesco, 
e fu il Povero obbrobrioso e angelico, che  
praticò la dolcezza, lo scandalo del Vangelo! 

E per mostrare così al mondo 
che esso ha torto 
e che i piedi, creduti d’oro e 
d’argento, sono d’argilla
quanto è tenere la Chiesa, e quanto Gesù è forte! 

 
 

 

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