Sant’Atto da Pistoia (22 maggio)

di  Giovanni Breschi  

        Adattamento dei primi due capitoli della          Storia di sant’Atto, vescovo di Pistoia (Malachia Toni, Pistoia, 1855)

L’ARRIVO DI S. ATTO IN ITALIA, NEL 1109.

Hospes eram et collegistis me (Mt. 25, 35). Ero pellegrino e mi hai ospitato.                                     

Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: Sono stato ospite e mi avete accolto e a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli e ai pellegrini. Regola del Padre san Benedetto professata dalla congregazione di Vallombrosa. Cap. 53.

Valicata la ripida giogaia dell’Appennino che s’interpone tra la valle casentinese e la stretta gola che costeggiando l’Arno conduce a Firenze, un pellegrino giungeva un giorno all’eremo di Vallombrosa1. La veste scura e talare, i capelli recisi a forma di corona, il segno della nostra redenzione pendente dal collo2 ed il breviario stretto sotto il braccio lo fecero riconoscere come sacerdote; i lineamenti pronunciati del volto bruno e consunto, gli occhi neri e vivaci, sebbene dolcemente modesti, facevano escludere che fosse italiano, e molto probabilmente originario delle regioni meridionali dell’Europa, dove i caldi soli e le relazioni frequenti colla razza mora imprimono nella fisionomia del popolo qualche aspetto del tipo africano, come avviene nella penisola iberica; il bordone poi che impugnava colla destra e le conchiglie cucite sul petto attestavano che avesse già visitato la tomba di S. Giacomo a Compostella e le tombe apostoliche di Roma.
Bussò col suo bordone alla porta dell’eremo, e due monaci che udirono il segnale del pellegrino accorsero prontamente per accoglierlo, per introdurlo nell’ospizio e per praticargli tutte quelle forme di carità che imponeva la loro santa congregazione.
Aperta la porta, e riconosciuta la sacra dignità dell’ospite dalla forma dell’abito e dal venerabile aspetto, si prostrarono a terra che umilmente baciarono davanti ai suoi piedi3. Rialzatisi aiutarono il pellegrino a liberarsi del suo povero fardello e con atto riverente e cortese al tempo stesso gli fecero segno di seguirli, perché la loro regola anche in quella contingenza prescriveva il più rigoroso silenzio: entrarono in un oratorio contiguo, dove pregarono per qualche tempo insieme all’ospite, inginocchiati davanti all’immagine di Gesù Crocifisso e della Vergine Madre, l’uno ringraziando di tutto cuore Iddio di averlo fatto scampare dai tanti pericoli occorsi nel faticoso cammino, e di averlo guidato verso la meta che il suo cuore desiderava ardentemente, mentre gli altri lo pregavano di poter esercitare in semplicità la loro opera caritativa, al riparo dal fango col quale l’umana debolezza e la malvagità del demonio avrebbero potuto sporcarla. Porta quindi amorevolmente la mano allo stanco pellegrino,  l’aiutarono a rialzarsi, e lo introdussero in una stanza vicina, nella quale lo fecero sedere; e mentre un dei monaci lo tratteneva con una lettura devota, l’altro si recava ad informare l’abate dell’arrivo dell’ospite, affinché venisse a lavargli i piedi e dargli il bacio della pace.
Artwork by Jacopo Chimenti, SANTO ACCOGLIE PELLEGRINI CON LA LAVANDA DEI PIEDI, Made of oil on panelPoco dopo comparve nell’ospizio un uomo di grave aspetto che sul ruvido saio vallombrosano indossava le insegne della più augusta dignità della Chiesa dopo quella del sommo pontefice. Tutti s’inchinarono profondamente davanti a quel venerabile personaggio ed egli, avvicinatosi allo straniero, lo salutò con benevolenza, ed inginocchiatosi  insieme a lui rinnovò la preghiera allo stesso modo del suo arrivo, finita la quale lo strinse fra le braccia e lo baciò in fronte. Ed avendo portato i monaci ospitalieri un vaso d’acqua tiepida e chiara, con somma carità gli lavò i piedi tutti laceri e polverosi per l’aspro e lungo viaggio, mentre gli astanti ripetevano le parole del salmo: Ricevemmo o Dio la tua misericordia in mezzo al tuo tempio4; li asciugò poi con grande cura, e dopo averli baciati devotamente pose fine a quell’atto di pietà.

L’ora era ormai tarda, e dopo che il pellegrino fece convenientemente riposare le membra affaticate, venne invitato ad un pasto frugale, ma il più abbondante del monastero: sedette
allo stesso desco al quale mangiava l’abate, colui che poco prima gli aveva fatto un’accoglienza così pia ed affettuosa.
Questo santo  rettore di Vallombrosa che con così grande edificazione e conformità allo spirito e alla lettera della regola da lui professata, aveva esercitato la religiosa ospitalità è il beato Bernardo degli Uberti5, che sebbene venisse scelto dai sommi pontefici nelle imprese più difficili e rilevanti a servizio della Cristianità, e fosse stato elevato al soglio cardinalizio della santa Chiesa, non seppe mai dimenticare quell’eremo santo, nel quale aveva succhiato il latte della vita spirituale, e l’umile gregge che il divino volere gli aveva affidato: il forestiero che con tanta umiltà e riconoscenza ricevette quella ospitalità per il beato Atto, futuro vescovo di Pistoia, del quale mi propongo di raccontare le opere.
Luca di Tommè - St. Bernard degli Uberti.jpgChi avesse osservato con attenzione il contegno ed il volto di questi due santi nel loro primo loro incontro ed in quelli successivi, avrebbe scorto nell’uno la gradevole impressione di chi s’imbatte in un volto non del tutto ignoto  che si accompagna a dolci ma lontani ricordi, e al tempo stesso la perplessità di chi ondeggia fra diversi pensieri, e si sforza di risvegliare nella mente un ricordo perduto: nell’altro avrebbe ravvisato la malcelata allegria di chi ritrova un padre ed un amico a lungo cercato, e l’ appagamento d’un animo che dopo molte vicissitudini raggiunge finalmente un porto nel quale aveva sperato di riposare e di chiudere nella pace del Signore i suoi  tribolati giorni.

L’inesprimibile consolazione dello straniero, e l’ affetto straordinario verso quel monastero ed i suoi santi abitatori, traspariva da molti segni che non sfuggirono affatto al beato Bernardo, espertissimo conoscitore degli uomini, notando in particolar modo la sua attenzione rivolta totalmente verso di sé. Tornavano nella mente le tante vicende della sua vita operosissima, le molte città visitate, i regni percorsi, le persone pressoché innumerevoli con le quali si era incontrato, aveva conversato e trattato le grandi questioni della Chiesa nei palazzi vescovili, nelle corti dei principi, nei concili, nelle diete, e non gli riuscì di rinvenire traccia delle fattezze di quell’uomo che pure non gli giungevano affatto nuove. Cionondimeno fu colpito da quell’aspetto dignitoso sul quale erano dipinti i candidi affetti dell’anima, una non comune intelligenza, una profonda pietà: rimasero a tavola a lungo, ed il pellegrino, com’era costume, gli chiese la sua benedizione, e pronunciò le indispensabili parole di convenienza, solo per le quali soli si rompeva il silenzio. Finalmente si pose termine al povero pasto, si resero fervorose grazie al Signore che sommamente misericordioso rinnova sempre la memoria delle sue meraviglie e somministra il cibo a coloro che lo temono: e dopo avere anche invocato tutte le benedizioni celesti e l’eterno premio per i benefattori del poverelli di Cristo, i commensali rientrarono silenziosamente nelle loro celle, e allo straniero fu data la possibilità di poter manifestare quanto teneva nascosto nel cuore, parlando liberamente di se medesimo, ed esponendo il motivo della sua visita all’abate, anch’egli desideroso di conoscerlo, presago che la mano invisibile di Dio aveva guidato quel pellegrino in quel luogo per compiere qualcuno de suoi disegni adorabili e per recare qualche gran benefizio alla sua nascente congregazione.

IL BEATO ATTO SI FA RICONOSCERE DAL BEATO BERNARDO DEGLI UBERTI E CHIEDE D’ESSERE AMMESSO A VALLOMBROSA

Vivus est sermo Dei et efficax, et penetrabilior omni gladio ancipiti.                                          La divina parola è  più viva, più potente, più penetrante di qualsisia spada a due tagli
(Ebrei, 4. 12)

. . . In Chiaramonte6 il grande Urbano questa spada mi cinse, e me devoto fè cavalier l’onnipotente mano.
Tasso,  La Gerusalemme liberata, 11-23.

Quando il pellegrino si ritrovò tutto solo in una celletta dell’eremo col venerando cardinale Bernardo, si sentì come tutto riconfortato di nuova vita da quel profumo celeste di santità che vi alitava, e fu lieto che Iddio avesse ormai esaudito i suoi lunghi e ardenti desideri; si prostrò al suolo, lo baciò, domandò umilmente d’essere benedetto e chiese il permesso di parlare: il santo abate stese la mano per benedirlo, gli impose di rialzarsi, ed indicatogli una sedia accanto a lui, lo invitò amorevolmente a sedervisi, e di aprirgli il suo animo con ogni libertà e fiducia. 
Uomo di Dio, cominciò allora lo straniero totalmente a proprio agio, voi certamente non riconoscete ora questo povero sconosciuto, al quale tre lustri or sono, molto lontano da qui, foste cortese e prodigo di sapienti consigli e di una familiarità molto forte ed affettuosa,  durata solo pochi giorni,  è vero, ma indimenticabile per me: e nonostante molte tribolazioni e molti dolori si siano impressi su questa fronte, e vi abbiano lasciato delle tracce profonde, che hanno mutato il mio volto più di quanto non abbia potuto l’età, ciò non di meno mi sono sempre risuonate alle orecchie quelle sante parole, e né mi fu possibile abbandonare i fermi proponimenti che queste  m’ispirarono.

CouncilofClermont.jpgRicorderete, o padre, quel concilio così solenne di Chiaramonte al quale voi partecipaste insieme col fior fiore del clero e del laicato d’Italia, richiamato dalla voce del gran pontefice Urbano e dallo zelo della casa di Dio che vi divorava. Or bene tra i tanti vescovi, abati, duchi e baroni che qui discutevano i grandi interessi del popolo di Dio, e deliberavano sul modo di proteggerlo dagl’infedeli figli d’Osmano7, tra la folla innumerevole dei cherici, dei monaci e dei cavalieri che vi brulicava, vi era anche un giovane sacerdote spagnolo: si chiamava Attone, ed era parente del vescovo di Valencia. Da pochi giorni ordinato sacerdote del Signore, e celebrate le prime delizie del celeste banchetto, bruciava d’una fiamma d’amore divino che purtroppo gli anni e la frequentazione degli uomini fecero intiepidire. Desideroso di dare il sangue e la vita per Cristo aveva ritenuto essere una grande regalo della Provvidenza quello di trovarsi lì, dove il supremo pastore dei cristiani chiamava a rassegna tutti i valorosi, dotati del coraggio necessario per correre in Palestina a sciogliere le catene dei nostri fratelli e a liberare il sepolcro del Redentore, caduto in mano ai cani. Ma il suo santo angelo che leggeva in Dio altri disegni sopra di lui, lo condusse alla vostra presenza, ve ne rivelò il cuore e vi fece gradire quell’ardore giovanile: voi lo trattaste da figlio, lo infiammaste ancora di più, ma gli additaste un altro nemico contro il quale avrebbe dovuto combattere, ed un altro martirio non meno glorioso che si sarebbe potuto conseguire: voi gli parlaste di quei perfidi cristiani •e di quegli ancor più perfidi sacerdoti che si intromettono nella grande famiglia del Padre celeste, che si celano all’ombra del santuario, lo mettono sotto sacco, ne strappano le armi e le rivolgono contro i figli fedeli e ne fanno strage tanto più straziante quanto meno essi sanno da quale mano vengono colpiti e da chi si debbano guardare: gli parlaste d’ una milizia, ordinata di recente e dedicata a combattere siffatti nemici; milizia non armata di corazza, ma vestita delle umili insegne di Cristo, non fiduciosa nella forza del braccio o del ferro, ma unicamente nella pazienza, nell’abbandono di tutte cose nel nome di Gesù, che fa tremare il cielo, la terra e l’ inferno. Gli descriveste l’accampamento lontano di questa nuova milizia. Si trovava sul pendio d’ un monte: un alloggio più povero e scomodo della tenda del soldato dava ricovero ai campioni di Gesù Cristo; di qui, questi nuovi maccabei piombavano come leoni sui nemici di Dio, li sgominavano, li disperdevano, e poi trovavano rifugio nelle loro trincee sui monti. Voi mi diceste di essere un commilitone di questi forti, e più e più volte confortaste il giovane levita a porre il suo nome al servizio di questa nuova milizia; o padre, le vostre parole non sono risultate vane: ecco qui quel levita! Al vostro cospetto voi vedete il sacerdote ispanico Attone a cui Iddio sin da quell’ ora pose nell’animo il desiderio di voler militare ad ogni costo nella vostra santa crociata.

Il pellegrino a questo punto s’alzava per inginocchiarsi davanti al beato Bernardo, e concludendo il suo ragionamento, lo scongiurò di accoglierlo nel sacro cenobio: ma egli, che lo aveva ascoltato con la massima attenzione, preso da inesprimibile allegria nel sentire ricordare Chiaramonte, luogo molto caro alla sua memoria, e nel rivedere quel fervoroso sacerdote con il quale in quell’epoca aveva parlato con grande confidenza, non volle che si alzasse e se ne andasse, ma stringendolo cordialmente a sé lo pregò di volergli narrare in che modo e attraverso quali vicende fosse giunto alla fine in quell’eremo. Allora lo straniero riaccomodatosi con modestia continuò in questo modo:
Pieno la mente d’ un tale pensiero ritornai nell’aula vescovile di Valencia insieme al mio prelato. Ma né il fiore degli anni giovanili, né le speranze dell’avvenire che mi sorridevano, né il desiderio degli onori o delle cariche ecclesiastiche mi lusingarono mai al punto di legarmi ad un mondo, del quale sperimentavo sempre più la malizia e gli stolti vaneggiamenti, e del quale vedevo ammonticchiarsi tutto intorno le rovine, conseguenza della sua caducità e della vendetta divina che lo colpiva. Infelicissima era in quei giorni la condizione della mia patria. Invasa dai Mori e lacerata dalle fazioni, porgeva di se uno spettacolo così miserando, che io suo figlio amorevole quanti altri mai, ma debole ed incapace di  cambiarla, non potei sopportare tutto ciò ancora oltre: e memore del vostro invito e sollecitato senza sosta dalla voce di Dio, chiesi il congedo e la benedizione dal mio vescovo: corsi ad abbracciare i miei genitori cadenti agli estremi confini di Spagna8, salutai per l’ultima volta la chiesa del mio battistero, e le patrie montagne, indossai l’abito del pellegrino e mi misi sulla via. Per dove ? Per l’Italia e per Cosa Visitare a Santiago de Compostela - Spagna.itRoma, paese delle grandi ed antiche memorie, terra madre di santi e di martiri, sede del vicario di Gesù Cristo: – e quanto è lontana da qui questa Italia e questa Roma? – lo sa Iddio, che mi manderà il suo angelo santo e mi vi guiderà. Così dicevo a me stesso: e subito m’indirizzò a Campostella, a pregare sulla tomba dell’apostolo di Spagna san Giacomo e a prendere lì commiato dalla mia patria. Mi misi quindi sulla via dell’oriente, e camminavo, camminavo quasi portato sulle ali dello spirito del Signore, cibandomi del
duro pane del mio zaino o elemosinandolo per amore di Dio, bevendo l’acqua delle fontane, riposando in casupole deserte, o sotto gli alberi frondosi delle foreste laddove mi sorprendeva la notte o la furia della tempesta. O padre, il vostro servo ha sofferto molto e ha vissuto grandi stenti abbandonando il tetto paterno e percorrendo la terra di Spagna per la interminabile via che porta alle sue alpi. Ma lo strazio dell’ultimo addio e le pene del faticoso cammino erano nulla in confronto alla visione desolante che dava di se questo misero paese, sul quale ora passa e ripassa il ferro ed il fuoco dei figli di Maometto, come una meteora infernale che fa piovere ovunque distruzione e morte. Vidi turbe fuggenti alla vista dei mori abbandonare le loro abitazioni malsicure, e riparare coi greggi e coi poveri avanzi delle loro sostanze sulle vette inaccessibili delle montagne: vidi squallide terre, chiese, monasteri e castelli ancora fumanti a causa dei barbarici incendi: sovente camminando calcai le ossa seminate sui campi di battaglia, piansi su tanto fiore di prodi caduti in difesa della religione e della patria, pregai per quelle forti anime che quivi forse attendevano nel dolore ancora una espiazione dai loro fratelli superstiti per volare al cielo, e passai oltre; finalmente trafelato ed anelante valicai le vette dei Pirenei. Eccomi almeno sulla terra non contaminata dalla presenza della maledetta razza saracena. Vidi spiegarmisi innanzi l’ampiezza del mare; salutai quella sublime immagine della grandezza di Dio, e riconobbi la traccia che la divina misericordia mi segnava per giungere a Roma.

Foto: La rendición de Granada / Crédito: Dominio Público
La carità e la benevolenza da cui mi vidi circondato nei monasteri e negli ospizi di Francia e d’ Italia aggiunse nuovo vigore alle piante dei miei piedi, ed il divino cibo eucaristico, del quale potei ristorarmi non raramente, m’infuse una nuova forza nel petto, come accadde ad Elia rifocillato dal mistico pane indicatogli dall’angelo, e divorai la strada che mi rimaneva, ed in breve, là fra le nebbie del lontano orizzonte, in mezzo alle ondulazioni d’ una vasta ed ineguale pianura, scorsi il monte santo di Dio, le creste de’ colli romani coronate di basiliche e di palazzi, vidi la croce che sorgeva sul pinnacolo del Vaticano, ed inginocchiato baciai mille volte quella terra bagnata da tanto sangue e da tante lacrime dei primi martiri e confessori di Cristo. Entrai nella città eterna come in un amplissimo tempio innalzato alla gloria del vero Dio: adorai la tomba dei principi degli apostoli che per prima mi si parò innanzi: a piedi nudi e con la fune al collo percorsi quelle vie che i primi atleti9 del cristianesimo carichi di catene e d’obbrobri segnavano col loro sangue; piansi e pregai lungamente su quelle arene dove consumarono il loro sacrificio: scesi nelle catacombe, e ravvolto in quell’aura morta come negli abissi della eternità, dimenticai del tutto la terra: immolai l’ostia incruenta su quelle tombe silenziose, ed offersi tutto me stesso vittima d’espiazione per la sventurata mia patria e per i peccati del mondo, e nuovamente udii più distinta e più potente la voce che mi chiamava quassù.
La mia devozione venne soddisfatta immediatamente: chiesi di voi, del vostro sodalizio e del luogo in cui si trova la vostra dimora: non mi fu difficile venirne a capo, perché tanto gloriosa era la vostra fama e quella dei vostri confratelli lì dove origina ogni raggio di virtù e di santità, come un centro luminoso. 
Prima però di raggiungere questo luogo non volli lasciare senza un saluto e una preghiera la tomba del gran patriarca san Benedetto, del quale voi dicevate di professare la disciplina, che anch’io mi proponevo di abbracciare, e ascesi la santa montagna non poco lontana da Roma verso il mezzogiorno. Mi raccolsi a lungo in preghiera nel santuario innalzato sul sepolcro di quel gran Padre de monaci d’Occidente, supplicandolo che mi trasfondesse il suo spirito, e mi accogliesse come il più piccolo nella sua grande famiglia: mi raccomandai molto alle orazioni dei suoi figli santi, e  ripresi quindi alacremente la strada volgendomi a settentrione. Varcai di nuovo monti ed altri monti, rividi il mare ad oriente, e mentre al crepuscolo del giorno, nel recitare la mia preghiera della sera, erravo sovra un alpe, stanco della ripida salita con passo incerto per la stanchezza, udii un devotissimo canto che unito al sussurro dell’aura vespertina e al gorgoglio d’un torrente vicino, diffondeva tra il folto dei rami e delle fronde un’armonia celestiale. Non starò a dirvi, o padre, se in quel momento mi balzasse il cuore d’ineffabile allegrezza, credendomi alla meta tanto sospirata del mio sì lungo ed affannoso viaggio. Raddoppio l forza, affretto il passo e  batto alla porta del romitaggio; viene un eremita di così umile aspetto avvolto dalla sua candidissima veste che pareva un angelo del Signore. 

File:Come benedetto evangelizza gli abitanti di montecassino.jpg

Fratello eremita, gli domandò subito impaziente, sia lodato Gesù, è quì Vallombrosa? – No, fratello pellegrino – mi risponde – non è qui, ma non è molto lontana. Questa è Camaldoli: noi siamo figli di Romualdo, e siamo in santa e fraterna amicizia con i figli di Giovanni Gualberto: vieni, che l’ora è tarda, ti ristori e  riposi con noi questa notte, e se domani ti metti in cammino col sole nascente, prima che finisca il suo corso sarai giunto a Vallombrosa. Ringraziai l’eremita di tanta carità: deposi il bordone e il fardello dentro la porta: mi sedetti alla mensa ospitale: passai molta parte della notte salmeggiando e meditando coi santi solitari, nell’altra mi concedetti un breve sonno su duro giaciglio, ed appena spuntata in cielo la prima luce dell’alba mi alzai, salii all’altare del Signore per celebrarvi il sacrificio eucaristico in ringraziamento del mio compiuto viaggio, mentre una musica mattutina di cento e cento uccellini rompeva il silenzio del bosco, lodando insieme a me il Dio delle misericordie. Quindi mi rimisi in cammino: mi faceva da guida un fraticello, e quando giungemmo ad un’altura dalla quale si stendeva sotto gli occhi una magnifica valle, mi disse: Vedi tu, pellegrino, quelle torri verso la metà della montagna di fronte, nelle quali ora batte il primo raggio del sole nascente? Sono di Romena10: lì vicino c’è il sentiero che ti guiderà sulla cima, non molto al di della quale si trova Vallombrosa. 
Non avevo bisogno di una guida così premurosa: l’aiuto divino e l’ardore dell’anima che mi portava verso di voi era la mia guida migliore. Sono sceso da quegli scoscesi burroni ed ho risalito le opposte pendici con una tale prestanza ed agilità, come se avessi avuto le penne dell’ aquila e avessi dato inizio al mio pellegrinaggio questa mattina. Quanto è buono e pietoso il Signore, o mio caro padre: Lui solo ha potuto sostenere la mia fragilità, e ha saputo guidarmi qui alla vostra presenza in mezzo a mille pericoli, per quei fini adorabili che vede Egli solo nella sua mente divina, dicendo al mio cuore che li non posso raggiungere se non indossando il vostro sacro abito, consumando insieme a voi l’olocausto di me medesimo, consegnando a Dio per sempre il corpo e l’anima mia coi santi voti della professione religiosa. Padre mio dolce, ponete fine a tanti affanni dell’ incerta e travagliata vita mia: accogliete la pecorella errante che viene all’ovile di Gesù. qui farò riposare per qualche tempo il mio spirito stanco; qui lo ritemprerò con le sante discipline e con i pensieri del cielo: e se dovessi poi trascorrere il resto della mia carriera mortale macerandomi e pregando in questa santa solitudine, od annunziando ai popoli l’eterne verità, o combattendo al vostro fianco i nemici del Signore, poco me ne importa, purché adempia in tutto ai santi voleri di Dio in quel modo che voi o chi sarà al vostro posto saprà indicarmi. 
Il beato Bernardo che nell’udire questo racconto pio e insolito, narrato con tanto candore ed affetto, non era riuscito a trattenere le lacrime, tornò ad abbracciare di nuovo l’amico degli antichi giorni e lo baciò una volta ancora in fronte; e riconosco, esclamò, quell’Attone dall’anima aperta e generosa, col quale m’incontrai nella terra di Francia, la cui maturità spirituale mi aveva procurato meraviglia, unita a tanta dolcezza e soavità di costumi e di modi, da farmi capire che Iddio avrebbe operato grandi cose per mezzo di lui. Poi soggiunse: questo santo luogo di ascesi, o figlio, è aperto a tutti coloro che amano piangere le loro colpe per poi stringersi intimamente a Dio, penando e faticando per conquistare la corona preparata per chi persevererà sino alla fine. Ma considera attentamente che né l’affetto umano, e neppure le suggestioni di una accesa fantasia ti guidino qui: essi si dileguerebbero presto: la vita dura e mortificata e la perpetua abnegazione del monaco non tarderebbero a farti pentire d’una decisione presa per bassi fini, o per leggerezza. Ma l’esperienza che io ebbi di te, la tua età, la costanza con la quale hai seguito la celeste vocazione, e soprattutto il lume di Dio mi rassicurano totalmente sulla sincerità delle tue parole e de tuoi proponimenti. Purtuttavia è tanta alta e ardua la via della professione religiosa che non ci si può impegnare con leggerezza e senza molteplici prove quotidiane. Il servizio della Chiesa e l’obbedienza da me giurata al suo supremo pastore non mi consentono di godere a lungo la beata pace di questo ritiro. Dovrò ben presto allontanarmene, e tu frattanto resterai qui studiando le nostre regole e il nostro stile di vita, dando prova delle tue disposizioni e della tua indole ad un santo monaco che ti sarà custode e maestro. Spero che Iddio infonderà nel tuo cuore perseveranza uguale alla sublimità dei tuoi proponimenti, e saranno appagati infine i tuoi antichi desideri di vivere nella pace di Dio in santa unione con noi.
Ciò detto lo benedisse, lo congedò, ed il buon pellegrino, ebbro d’una letizia celeste, si ritirò nell’ospitale, ringraziando fervidamente Iddio di avere alla fine esaudito le sue lunghe preghiere, ormai pronto a compiere tutto ciò che la santa istituzione monastica esigeva da lui.

Sant’Atto biografia: Biografia di sant’Atto

Sant’Atto: Sant’Atto

 

Note:

  1. A Vallombrosa, in una foresta poco distante da Fiesole, nella quale sarebbe stata eretta la celebre abbazia, ebbe origine l’ordine monastico benedettino istituito nel 1036 da san Giovanni Gualberto, di nobile famiglia fiorentina, grande riformatore del monachesimo. La lotta alla simonia, la contemplazione del creato e il ritorno alla povertà evangelica, sono i tratti principali della congregazione.
  2. Il crocefisso
  3. Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: Sono stato ospite e mi avete accolt e a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli e ai pellegrini. Quindi, appena viene annunciato l’arrivo di un ospite, il superiore e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro amore per prima cosa preghino insieme e poi entrino in comunione con lui, scambiandosi la pace. Questo bacio di pace non dev’essere offerto prima della preghiera per evitare le illusioni diaboliche. Nel saluto medesimo si dimostri già una profonda umiltà verso gli ospiti in arrivo o in partenza, adorando in loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo, che così viene accolto nella comunità.        Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare e poi il superiore o un monaco da lui designato si siedano insieme con loro. Si legga all’ospite un passo della sacra Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino tutte le attenzioni che può ispirare un fraterno e rispettoso senso di umanità. Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all’ospite, mentre i fratelli continuino a digiunare come al solito. L’abate versi personalmente l’acqua sulle mani degli ospiti per la consueta lavanda; lui stesso, poi, e tutta la comunità lavino i piedi a ciascuno degli ospiti e al termine di questo fraterno servizio dicano il versetto: Abbiamo ricevuto la tua misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo Tempio.              Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve Cristo in modo tutto particolare e, d’altra parte, l’imponenza dei ricchi incute rispetto già di per sé. La cucina dell’abate e degli ospiti sia a parte, per evitare che i monaci siano disturbati dall’arrivo improvviso degli ospiti, che non mancano mai in monastero. Il servizio di questa cucina sia affidato annualmente a due fratelli, che sappiano svolgerlo come si deve. A costoro si diano anche degli aiuti, se ce n’è bisogno, perché servano senza mormorare, ma, a loro volta, quando hanno meno da fare, vadano a lavorare dove li manda l’obbedienza. E non solo in questo caso, ma nei confronti di tutti i fratelli impegnati in qualche particolare servizio del monastero, si segua un tale principio e cioè che, se occorre, si concedano loro degli aiuti, mentre, una volta terminato il proprio lavoro, essi devono tenersi disponibili per qualsiasi ordine. Così pure la foresteria, ossia il locale destinato agli ospiti, sia affidata a un monaco pieno di timor di Dio: in essa ci siano dei letti forniti di tutto il necessario e la casa di Dio sia governata con saggezza da persone sagge. Nessuno, poi, a meno che ne abbia ricevuto l’incarico, prenda contatto o si intrattenga con gli ospiti, ma se qualcuno li incontra o li vede, dopo averli salutati umilmente come abbiamo detto e aver chiesta la benedizione, passi oltre, dichiarando di non avere il permesso di parlare con gli ospiti. Regola di san Benedetto, cap. 53.

  4. Salmo 97
  5. Bernardo degli Uberti. (Firenze, 1060 – Parma, 1133), di nobile famiglia fiorentina, dopo aver ricevuto una visione si ritirò a vita monastica, diventa abate dei vallombrosiani. Il Papa Urbano II lo innalzò al soglio cardinalizio e il su successore Pasquale lo nominò legato pontificio per l’Alta Italia, che quasi totalmente prestava fedeltà all’antipapa Clemente III. A Forlì operò un miracolo, facendo spegnere un incendio che stava distruggendo la città e la popolazione volle che l’abbazia di san Mercuriale venisse presa in consegna dai vallombrosiani. A Parma venne arrestato dopo un’omelia nella quale aveva accusato le autorità civile, e venne fatto liberare da Matilde di Canossa. In quella città continuò l’opera di mediazione con l’Imperatore Enrico V, e il suo corpo riposa nella cattedrale parmense.
  6. Clermont, località dell’Alvernia nella quale si svolse il Concilio nel 1095, durante il quale Urbano II invitò al pellegrinaggio armato a Gerusalemme, dove i luoghi santi erano finiti nella mani dei musulmani, dando origine a quella che verrà definita la prima crociata. Il popolo rispose all’accorata richiesta con il grido Deus Vult, diventato il motto dei Crociati.
  7. Osmano sta per Ottomano
  8. Il luogo d’origine di sant’Atto è sconosciuto, ma la storiografia propende per Badajoz, in Estremadura, o per il vicino Portogallo.
  9. Atleti di Dio, o atleta di Cristo  riprende la definizione di san Paolo: Ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza meta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato. (Cor, 9-25)
  10. Pieve di Romena, del X secolo, si trova nel Casentino e da sempre dà conforto materiale e spirituale in special modo ai pellegrini diretti a san Pietro. 
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