di Maurizio Minchella
I pellegrini che nei secoli andati giungevano da Nord Est, usciti da Bergamo, avevano come riferimento la statua di san Giacomo, alta circa tre metri, sovrastante l’abbazia a lui dedicata, nel territorio di Pontida. Situato sull’importante asse viario che collega Bergamo a Lecco verso Nord, e a Monza verso Sud, il borgo di Pontida è da sempre stato una località strategicamente molto importante nelle vicende che hanno segnato la storia delle terre lombarde, soprattutto tra il IX secolo ed il XIV, ed ha sempre avuto l’abbazia al centro degli avvenimenti storici che l’hanno vista protagonista.
Fondatore della celebre abbazia fu Sant’Alberto da Prezzate, località della bergamasca non distante da Pontida. Figlio di Ariprando, il cui casato poteva contare numerosi possedimenti disseminati nel Lemine, la corte regia longobarda costituita ad Ovest del fiume Brembo, Alberto nacque intorno al 1025. Venne educato come si conviene ad un nobile, facendogli coltivare in modo particolare gli studi umanistici e l’arte della guerra. La sua famiglia era molto legata alla corte imperiale, la qual cosa gli consentì di divenire in seguito amico degli imperatori Enrico III ed Enrico IV, ed ebbe modo di partecipare a numerosi consigli da questi presieduti. Entrato a far parte della milizia del feudo di quest’ultimo, si ferì gravemente nel corso di un combattimento.
Fu allora che intuì che la sua vera vocazione non atteneva al governo delle cose di questo mondo e maturò l’idea di cambiare vita, attratto dalla prospettiva monacale. Per verificare se tale desiderio fosse una vera chiamata dall’alto, e non un fuoco fatuo, decise di pellegrinare in Terrasanta. In quegli anni l’accesso al Santo Sepolcro era, come noto, altamente rischioso a causa delle efferate violenze perpetrate dai Turchi nei confronti dei pellegrini cristiani. Risolse comunque di trovare conferma alla sua vocazione mettendosi in cammino verso un’altra santa meta. Indossò la bisaccia ed il bordone, si comunicò e partì, tra il 1071 ed il 1075, con il suo amico Enrico da Cremona, alla volta di Santiago di Compostela.
Durante il pellegrinaggio rimase affascinato dalla spiritualità cluniacense che da circa un secolo stava rigenerando la Cristianità, sacralizzando la liturgia e dando concretezza al Mistero dell’Incarnazione, lasciandone tracce visibili nella cultura e nel costume delle genti.
Alberto ebbe certamente modo di conoscere modo di conoscere i monasteri che i riformatori di Cluny stavano erigendo lungo le strade che portavano alla tomba dell’Apostolo Giacomo, fra tutti quelli di san Benito a Sahagun e quello di san Zoilo a Carrion de los Condes. Non solo Alberto trovò conferma della sua vocazione nel corso del suo pellegrinaggio, ma intravide anche le forme che questa avrebbe assunto. I legami tra Cluny ed il Cammino di Santiago sono ben noti, ed Alberto ebbe la netta percezione che dalla loro simbiosi sarebbe sorta una civiltà che avrebbe potuto dare pienamente forma alle persone e ai popoli.
Tornato nella sua terra, decise di donare alcune sue proprietà all’ordine cluniacense. Primo fra tutti un terreno in Pontida, adiacente alla chiesa dedicata alla Madonna e ai santi Giacomo, Bassano e Nicola. In breve tempo la comunità monacale prese corpo e venne affidata al monaco Vito, designato dall’abate di Cluny. Alberto mutò la dedicazione al solo San Giacomo, e nel 1080 divenne monaco in questa chiesa, trasformata ben presto in abbazia, insieme al suo amico Enrico da Cremona. Intorno all’edificio sacro Alberto aveva fatto erigere un hospital per ospitare i numerosi pellegrini che in quell’epoca attraversavano la sua terra.
Le donazioni di Alberto si moltiplicarono ed interessarono la vicina Fontanella, borgo sito nell’attuale comune di Sotto il Monte Giovanni XXIII. Dell’edificazione della nuova abbazia, che divenne poi il Priorato di Sant’Egidio, si fece carico Teoperga, sorella o cugina di Alberto, leggendaria figura probabilmente moglie del re franco Lotario, da lui ripudiata, ma molto amata in queste terre per le opere di carità che svolse nel corso della sua vita.
Prima di partire per Cluny per l’anno di noviziato, Alberto cercò di convincere invano Enrico IV, scomunicato da Gregorio VII, a sottomettersi al Papa. Il soggiorno cluniacense durò molto più del previsto. Alberto rimase lì sette anni, affidato alla guida spirituale dell’abate Ugo, durante i quali si perfezionò nella fede e negli insegnamenti. A dirigere l’abbazia di Pontida venne nominato l’abate Guido, che verrà anch’egli canonizzato. Al rientro a Pontida Alberto assunse a pieno titolo la carica di abate, che mantenne fino alla morte. Gli ultimi anni della sua vita furono totalmente dedicati ad utilizzare le numerose donazioni che giungevano copiose da tutta la Lombardia, per edificare nuovi conventi e per favorire opere di carità. Pontida divenne ben presto un importante centro di irradiamento del monachesimo e la sua fama si estese ben al di là del suo comprensorio.
All’inizio del 1095, Alberto ottenne da Papa Urbano II una bolla pontificia di privilegio per il monastero di San Giacomo di Pontida. Il 2 settembre di quell’anno Alberto morì nella sua abbazia, dopo aver vinto la sua buona battaglia, profusa nell’intento di cercare Dio tra i fratelli e di portarLo ai fratelli.
L’abbazia di Pontida continuò a prosperare soprattutto sotto la guida di Teudaldo da Vimercate, nel XII secolo, ampliandosi ulteriormente. In quegli anni Pontida divenne celebre per il famoso giuramento che venne tenuto il 7 aprile 1167 tra alcuni comuni lombardi e non solo, col quale si sanciva unità di intenti tesi a sconfiggere Federico Barbarossa. L’episodio è stato utilizzato dalla retorica risorgimentale, e reso celebre dalla famosa poesia del Berchet (L‘han giurato. Gli ho visti in Pontida/convenuti dal monte, dal piano./L’han giurato; e si strinser la mano/cittadini di venti città) La realtà storica vuole che, al contrario di quanto di quanto avvenne nel Risorgimento, la Lega Lombarda, che in realtà si chiamava Societas Lombardorum, sorse su sollecitazione di Papa Alessandro III, per difendere la libertà della Chiesa e quella dei popoli. La pretesa del Barbarossa di nominare consoli tedeschi nelle città lombarde e venete, culminata con la distruzione di Milano, e quella di nominare vescovi nelle diocesi dell’Impero e persino antipapi, pratica cominciata nel concilio di Pavia del 1060 indetto dallo stesso Imperatore, crearono le basi per un conflitto cruento che oppose comuni e fazioni in scontri che si protrassero per decenni contro l’esercito tedesco. Le guerre che avevano visto inasprirsi lo scontro con mutevoli alleanze, insanguinarono non solo Milano, ma anche la parte orientale della Lombardia. Cominciò in questo clima anche la decadenza dell’abbazia di Pontida, che vide anche la sua quasi totale distruzione operata da Barnabò Visconti nel 1373, per vendicare l’omicidio del figlio Ambrogiolo, commesso dai guellfi della vallata circostante. Il sepolcro di Sant’Alberto ed il tesoro di reliquie e di documenti custoditi nella già famosa biblioteca venne in parte salvato e portato a Bergamo, ma ben tre carri di libri e di incunaboli vennero fatti trasportare da Bernabò nel castello visconteo di Pavia. La struttura resse in quanto in quegli anni i maestri comacini avevano trasformato nel nuovo stile gotico l’abbazia – ispirando settant’anni dopo Milano nella costruzione del Duomo – rendendola forte e solida. Nel 1409 l’abbazia enne incorporata alla Congregazione di Santa Giustina, favorita da Venezia e dai Papi per far uscire dalle secche molti monasteri ed abbazie che il regime commendatario aveva di fatto depredato. Pur in un nuovo rifiorire Pontida rimase però da allora ai margini della vita ecclesiastica e culturale, per poi vedere la sua fine nel 1978 con la Repubblica Cisalpina, durante la quale i napoleonici soppressero gli ordini religiosi. Il sonno di Pontida è terminato nel 1910 quando da Roma giunsero dall’abbazia di San Paolo tre monaci, sotto richiesta del popolo e delle autorità, a ridar vita alle celebrazioni che continuano ancor oggi nello stile monastico benedettino.
L’attuale abbazia conserva due bellissimi chiostri in stile bramantesco, un prezioso altare dedicato a San Mauro e una scultura lignea attribuita ad Andrea Fantoni. La facciata, ricostruita nei primi anni dell’Ottocento, è neoclassica. Nel corso di secoli si è quindi totalmente trasformata, passando dal romanico puro al gotico. Per intuire come potesse essere l’originaria abbazia fondata da Sant’Alberto è sufficiente visitare la bellissima abbazia gemella di Fontanella, che si è conservata integra nella struttura nel corso dei secoli.
Il romanico di Fontanella ci riporta alle nostre origini pellegrine, alla cura cluniacense nel dare un senso ad ogni gesto e ad ogni passo, custodito nel più minimo dettaglio. All’interno, affrescati dal Baschenis, vi sono San Cristoforo, San Nicola e San Sebastiano. Orientata esattamente ad Est, è costituita da tre navate e presenta una leggera asimmetria verso destra, in modo che nel suo insieme l’abbazia sia la raffigurazione del Crocefisso, il cui Volto è inclinato sul legno nell’ora dell’agonia. Sul lato esterno vi sono cinque monofore, tre delle quali dietro l’abside centrale, che in un gioco di luci, dal primo raggio fino all’ultimo, scandiscono il ritmo quotidiano della liturgia, a svelare il mistero che avvolge l’esistenza, dalle tenebre allo splendore, per mezzo della Resurrezione, della quale l’abbazia è un autentico inno. Dietro al Crocefisso ligneo dell’abside troneggia il Cristo Pantocrator attorniato dai quattro evangelisti, così come i sei archi che delimitano le navate e le riuniscono attraverso il settimo che guarda verso l’altare, simboleggiano di nuovo la pienezza del trionfo sulla morte. E’ in chiese come questa che il pellegrino da sempre si ristora e vede nel silenzio il suo viaggio trasfigurarsi verso l’unica meta che ardentemente spera di poter raggiungere.
Le due abbazie sono collegate tra di loro da due sentieri. Il primo sale in cima al Monte Canto, la prima sommità che si trova in terra bergamasca provenendo dalla pianura, sulla quale si trova la piccola chiesetta di Santa Barbara. Si raggiunge dopo una ripida discesa Pontida, raccolta intono alla sua imponente abbazia. Il secondo percorso denominato, il Sentiero di Alberto, è meno impegnativo e più corto.
A circa metà strada si trova una radura nella quale è conservata la pietra di Alberto che, secondo una leggenda, ha la forma concava in quanto il santo, nei suoi numerosi spostamenti tra le due abbazie, era solito sostare su di essa per riposarsi, lasciando l’impronta del suo corpo. Questa pietra avrebbe poteri taumaturgici ed ancora oggi chi è afflitto da dolori reumatici ed artritici vi si siede, cercando in essa sollievo.